Tuttolibri, 23 novembre 2019
Intervista al cardinale Gianfranco Ravasi
Il cardinale Gianfranco Ravasi, 77 anni, ministro della Cultura del Vaticano, ha sempre vissuto tra i libri, prima alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, di cui era prefetto, e dal 2007 a Roma, chiamato da Papa Benedetto XVI. Tutto il suo lavoro è stato destinato ad «annunciare la parola», secondo il motto «Predica verbum» suggeritogli da Massimo Cacciari quando divenne arcivescovo. Fondamentali in questo senso gli anni di archeologia in Medio Oriente, con studi all’Università ebraica di Gerusalemme, e quelli milanesi a fianco del Cardinale Carlo Maria Martini. All’esegesi e alla divulgazione biblica ha così dedicato una cinquantina di libri, analizzando gli angoli più bui delle sacre scritture senza perdere di vista il pubblico laico, da ultimo un Piccolo dizionario dei sentimenti.
Eminenza, c’è ancora spazio per i sentimenti?
«Nella sua apparente semplicità è la domanda di questo tempo. Quando è morta mia mamma ho trovato le lettere di mio padre in guerra, piene di amore, nostalgia e malinconia. Oggi se un giovane si limita a messaggi ed emoticon la relazione resta in superficie. I sentimenti faticano a trovare spazio, a meno che non siano eccezionali ed estremi».
Rischiamo di perdere parte dell’anima?
«I viali dell’informatica non conoscono troppo l’equilibrio e lasciano l’anima monca. Anche l’eros nel senso autentico si trova raramente, mentre ce n’è una valanga inteso come lussuria».
Sembra strano chiederlo a un cardinale, ma come mai?
«Perché viviamo l’epoca dei bisogni immediati e dell’assenza di desiderio. Pensiamo all’educazione, in cui i genitori cercano di soddisfare i capricci, piuttosto che stimolare la ricerca di qualcosa di più alto».
Perché nei capitoli del libro lei fa il gioco delle coppie tra i sentimenti?
«Per raggrupparli od opporli. Collera e sdegno sembrano vicini, ma la prima è la reazione brutale, l’isteria, un peccato capitale come l’ira, mentre lo sdegno può significare schierarsi dalla parte del bene. Nel Vangelo di Matteo Gesù usa la frusta sui mercanti quando entra nel tempio. Prendiamo poi paura e timore, la prima è fonte della psicanalisi come fobia e il secondo può significare rispetto del valore altrui e, nella Bibbia, del Signore, che vuol dire riconoscere la trascendenza».
All’inizio del libro cita l’impegno di Spinoza a non deridere, ma a comprendere l’uomo. Al che viene in mente il famoso excursus di Umberto Eco nel "Nome della rosa" sul riso di Cristo. Secondo lei rideva o no?
«Nel Medievo si diceva solo che piangeva, in realtà quando canta la preghiera nel Vangelo di Luca è pieno di gioia messianica. Certo Cristo non è quella figura sempre mite che un certo devozionalismo o sacrocuorismo dipingono. Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini lo rappresenta serio anche quando dice le Beatitudini e ha fondamento, anche se il suo messaggio è appunto vangelo, cioè bella notizia».
Dio diventa più buono dall’Antico al Nuovo testamento?
«Sì, ma anche nell’Antico testamento c’è l’amore. Oltre al Cantico dei cantici ricordiamo Isaia: "Può una madre dimenticare il figlio delle viscere? Quando anche succedesse, io non ti dimenticherò Israele". L’istinto emotivo è presente da sempre. Come pure la categoria di padre, con riferimento alla sua tenerezza. Insomma, c’è un unico Dio solo che nel Nuovo testamento oltre alla giustizia esiste la novità della misericordia e del perdono».
Lei ha fondato il Cortile dei gentili per favorire il dialogo con i non credenti e ha sempre coltivato rapporti con grandi laici come Indro Montanelli e Alda Merini. Si sente un uomo di confine?
«Filone l’Alessandrino definisce il sapiente come colui che sta sul confine. Sono da sempre curioso di ciò che sta aldilà, in tutti i sensi. Montanelli chiese a Romiti di incontrarmi per sapere del mio Cristianesimo, ma era difficile spiegargli perché era un gran semplificatore. Una volta gli citai l’inquietudine di Sant’Agostino, gli dissi che finché si è inquieti si può stare tranquilli e lui ne fece un articolo. Alda Merini mi telefonava per dettarmi le sue poesie e mi dedicò la raccolta Clinica dell’abbandono. Umberto Eco una volta al mese veniva a trovarmi all’Ambrosiana per curiosare tra i volumi antichi».
Esiste una letteratura religiosa?
«I fratelli Karamazov è un testo teologico e Delitto e castigo riguarda il rimorso e la coscienza in un tribunale interiore. Mario Luzi ha scritto poesie laiche come testi religiosi, dalla Via crucis per Papa Giovanni Paolo II al Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini. Ennio Flaiano, agnostico completo, racchiude elementi spirituali e ha lasciato un testo incompiuto sul ritorno di Gesù sulla terra. Quando un autore rappresenta il male del mondo a volte bestemmia, ma Les fleurs du mal di Baudelaire sono poesie anche religiose».
Lei ritiene che i cattolici praticanti siano una minoranza, ma non debbano rinunciare a stimolare la società. Vale anche per le persone di cultura?
«È un parallelo che faccio spesso. La vera cultura è in qualche modo religione. Rassegniamoci a essere minoranza, ma non alle catacombe o a gridare nel deserto. Chi ha dei valori, qualunque siano, deve cercare un senso più alto, compreso il dialogo con gli altri. Per la maggioranza che Dio esista o no è indifferente: non è Nietzsche che lo combatte, ma l’ignoranza. Si può solo insistere come fa Papa Francesco su temi scomodi come la povertà e l’accoglienza, la vita e la morte, i sentimenti come limite alla tecnica. Anche la bellezza dell’arte risulta contagiosa. Se uno vede una mostra di Caravaggio difficilmente ne esce indenne».
Immagini di dare qualche consiglio di letture bibliche. Da dove iniziare?
«Dall’Antico testamento, non tutto, solo due libri antitetici: Qoelet, la crisi, e Cantico dei cantici, la primavera. Poi nel Nuovo testamento il Vangelo di Marco, il più breve, e la prima lettera di Paolo ai Corinzi, che rappresenta una metropoli dai problemi contemporanei, come la sessualità, il dialogo e l’oltrevita. Suggerirei la Bibbia di Gerusalemme delle Edizioni Dehoniane».
Esistono ancora dei libri proibiti?
«L’indice è stato cancellato da Papa Paolo VI nel 1966, ma i libri sono stati conservati sia in Vaticano sia all’Ambrosiana nel cosiddetto Inferno. Si tratta soprattutto di testi filosofici o libertini. Ogni libro è utile a meno che non sia pura pornografia. Anche Nietzsche con la sua provocazione ha aiutato la riflessione. Poi Bacone diceva che alcuni libri vanno assaggiati, altri inghiottiti, pochi masticati e digeriti».
E i testi di altre religioni?
«Il Corano era considerato un’eresia cristiana: un libro da leggere, con la fatica che comporta. Come i Veda indiani, una spiritualità diversa ma di stimolo. Così pure i testi cinesi di Confucio, ma come dice un proverbio orientale: prima di scavare un altro pozzo vedi di arrivare in fondo al tuo».
Con Papa Francesco parlate di libri?
«Tutti quelli che gli arrivano li manda a me. Con i problemi che ci sono non ha tanto tempo di leggere. Parliamo di cultura, di musica e dell’opera che ascoltava con sua mamma».
E lei cosa sta leggendo?
«Alterno più libri, che finisco tutti. Al mattino e in prima serata i testi teologici e di notte, dormendo poco, Un’odissea di Daniel Mendelsohn, La promessa di Friedrich Dürrenmatt e Il pozzo di Regīna Ezera».