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 2019  novembre 23 Sabato calendario

Intervista a Mikhail Piotrovskij

Un buon museo è il custode della memoria, è la memoria che rende gli esseri umani diversi dagli animali e dalle pietre se una persona o un popolo perde la memoria è perduto. Ma attenzione perché la memoria può essere terribile: in suo nome oggi si combattono guerre, si commettono crimini efferati. Chi ha cominciato per primo? Di chi è la colpa? La memoria custodita nei musei invece educa alla bellezza delle differenze, dunque insegna il dialogo tra i popoli». Il professor Mikhail Piotrovskij è il direttore generale dell’Ermitage dal ’92. E’ cresciuto tra gli stucchi e gli affreschi del gioiello architettonico di San Pietroburgo, figlio grande archeologo che lo ha diretto dal 55 al ’90. 
Dicono che per visitare l’Ermitage occorrano 11 anni. Più di tre milioni di opere d’arte distribuiti 66.842 mq. Le conosce tutte?
«Per visitarlo basta una settimana. E non è necessario vedere tutte le opere. L’Ermitage può uccidere una persona ma è anche il museo più democratico del mondo: puoi venire per ammirare le collezioni o i pavimenti e gli affreschi. E’ un museo per un bambino, un contadino o per un raffinato intellettuale».
Il museo della moda, «Manifesto 10» con le opere d’arte create dopo la caduta del muro Berlino, i 14 centri di restauro, il padiglione della Biennale di Venezia, Ermitage 2020, 2021. Siete in perenne evoluzione.
«L’Ermitage ha sempre fatto questo. E’ un museo enciclopedia dell’arte mondiale. Caterina acquistava quaderni e intere collezioni degli artisti contemporanei, Paolo I frequentava le botteghe di Venezia e comprava lui stesso i quadri e lo stesso ha fatto Nicola I. Dunque noi non facciamo altro che sviluppare la tradizione. Poi certo oggi c’è il dibattito sul contrasto tra arte contemporanea e arte al quale partecipiamo energicamente».
La sua posizione?
«Non esiste l’arte contemporanea esiste semplicemente l’arte. Però esistono le istituzioni, gli artisti, le gallerie e i musei che producono un allestimento carnevalesco. Come il nostro Padiglione alla Biennale di Venezia. L’opera di Aleksandr Sokurov rappresenta molto bene come l’arte vecchia si rispecchia nell’arte nuova. Il soggetto è una storia terrificante perché pur appellandosi a una parola bella come misericordia l’artista fa capire che non conosciamo tutta la storia. D’accordo il padre accoglie e abbraccia il figliol prodigo ma cosa succederà tra mezz’ora? Forse tornerà a scorrere il sangue».
Sokurov nel film «L’arca russa» immagina l’Ermitage come un luogo sospeso nel mondo e nel tempo in navigazione nel mare della storia.
«Il museo accoglie dal passato l’eredità ma non può disporne come vuole, deve sempre ricordare che questa va trasmessa. Quando i terroristi hanno attaccato Palmira tutto il mondo civile gli ha chiesto di non farlo. "Questa roba ci appartiene, ne disponiamo come vogliamo", hanno risposto. Hanno commesso un crimine contro l’umanità. Come crimini contro l’umanità hanno commesso i cristiani quando hanno abbattuto le strutture antiche, o i bolscevichi quando hanno demolito le chiese ortodosse. La cultura appartiene a tutti, nessun popolo ha il diritto di gestirla a proprio piacere. E uno dei compiti del museo è quello di insegnare questo». 
Lei avrebbe prestato l’uomo vitruviano di Leonardo?
«Voglio essere chiarissimo: solo chi è responsabile della conservazione di un’ opera può decidere. Se il museo dice di sì nessuno ha il diritto di sindacare».
La moda è arte? 
«Lo sta diventando sempre di più. Qualcuno storce il naso ancora. Quanto Yves Saint Laurent negli anni cinquanta portò la sua collezione sulla piazza Rossa ci furono manifestazioni di protesta, malgrado in epoca sovietica non usasse. Ora scrivono direttamente alla Procura. Noi però siamo fieri di aver aperto alla moda. Il costume è sempre stato arte».
Chi finanzia Ermitage?
«Il nostro bilancio è di 75 milioni di dollari americani. La metà sono elargizioni statali. Il rebiglietti e i servizi. Un venti per cento arriva da mecenati. Non dagli sponsor perché la nostre leggi non permettono ancora le detrazioni fiscali che ci sono negli Usa».
C’è un’opera o un artista che sogna di poter esporre nel suo regno?
«C’era, Piero Della Francesca. Un sogno realizzato. Lo abbiamo avuto in prestito e questo mi basta: chi ama l’arte non lo fa per il possesso».