Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  novembre 23 Sabato calendario

Non si boccia in prima media?

Scusa originale per non fare più i compiti: sono in prima media. Pretesto solidissimo visto che in un certo senso cita addirittura un’ordinanza della sesta sezione del Consiglio di Stato, che ha sancito di fatto che non è giuridicamente possibile bocciare in prima media. Almeno, non se l’unico motivo è il rendimento scolastico. Un solo anno sarebbe troppo poco per comprendere le difficoltà di uno studente agli inizi.
La miccia l’ha innescata una vicenda raccontata dalla "Provincia di Cremona". Un ragazzino di prima media dell’Istituto comprensivo Pizzighettone-San Bassano, Cremona, lo scorso anno viene bocciato. Il padre non ci sta e i giudici del Consiglio di Stato accolgono il suo ricorso contro il Miur e l’istituto scolastico: «L’ammissione alla classe successiva nella scuola secondaria di primo grado deve fondarsi su un giudizio che faccia riferimento a periodi più ampi rispetto al singolo anno scolastico, anche nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento attesi in una o più discipline». Ora lo studente può decidere se tornare a scuola, in seconda media, nonostante l’anno scolastico sia iniziato da un po’. 
Un caso simile si era verificato nel 2018: il Consiglio di Stato si era espresso favorevolmente nei confronti di uno studente di Scandiano, questa volta Reggio Emilia. Secondo gli insegnati, il bambino avrebbe dovuto ripetere l’ultimo anno di elementari. Ma non per i giudici. 
Quello che è un dato di fatto è che oggi sempre più spesso famiglia e scuola finiscono in trincea, si affrontano anche in tribunale piuttosto che cooperare. Lo spiega Monica Guerra, pedagogista, ricercatrice e docente dell’Università Bicocca di Milano. «I ricorsi delle famiglie contro le decisioni della scuola sono un fenomeno in crescita. Insegnanti e famiglie dovrebbero essere partner nel percorso educativo e formativo, ma quella che dovrebbe essere un’alleanza per il bene dello studente rischia spesso di trasformarsi in una contrapposizione, in cui ciascuno è convinto di detenere il quadro completo della situazione. I casi in cui si arriva a un ricorso sono sovente l’esempio di una situazione in cui evidentemente qualcosa nella comunicazione non ha funzionato: la scuola sente di non avere più nessun altro strumento se non quello estremo della bocciatura e il genitore decide di impugnarla perché non ritiene credibile l’opinione dei docenti».
Anche se la sentenza del caso di Cremona «in linea di principio è profondamente condivisibile», aggiunge. «Non ne conosco i dettagli, ma in generale la valutazione di un bambino o di un ragazzo ha davvero bisogno di un tempo minimo, per cui chi propone la bocciatura deve avere prima la certezza di aver messo in campo tutto quello che poteva per far raggiungere allo studente gli obiettivi previsti. In fondo la bocciatura è un fallimento per tutti».