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 2019  novembre 23 Sabato calendario

Scelba, il ministro più odiato

Chi era il numero uno della Democrazia cristiana del primo dopoguerra? Di certo Alcide De Gasperi, l’uomo della vittoria conquistata sul campo contro comunisti e socialisti nelle elezioni del 18 aprile 1948. Alcide era odiato dalle sinistre, ma ancora più odiato di lui era Mario Scelba, il ministro dell’Interno. 
Scelba era il capo della Celere, la polizia di Stato ritenuta al servizio della Dc. Ancora oggi chi allora non era più un bambino ricorda come il Pci e il Psi giudicassero il ministro dell’Interno. Lo dipingevano come un diavolo in terra. Una belva assetata di sangue, un lacchè dei fascisti, un mafioso, un manganellatore, un servo degli imperialisti americani. 
L’Unità arrivò a scrivere che era il più impopolare e odiato politico d’Italia. In realtà era soltanto un uomo che si era dato una missione: impedire che il Pci di Palmiro Togliatti e il Psi di Pietro Nenni conquistassero il governo. 
Scelba era nato nel 1901 a Caltagirone, un centro di media grandezza in provincia di Catania. Bisogna ricordare che era il luogo natale anche di don Luigi Sturzo, il sacerdote che avrebbe fondato il Partito popolare italiano. Mario apparteneva a una famiglia di condizioni modeste e, se riuscì a progredire negli studi fino alla laurea in Legge, fu per merito proprio di don Sturzo che aveva preso a cuore il destino del ragazzo povero e bravo. Nacque allora la leggenda senza fondamento che Mario fosse il figlio naturale di Sturzo, nato quando il sacerdote aveva trent’anni. Non era vero, ma si usava per spiegare perché Scelba diventò il suo pupillo. 
Nel 1919, a diciotto anni, Scelba si iscrisse al Partito popolare ed ebbe l’incarico di segretario del leader. Lo seguì a Roma e gli rimase accanto sino al 1926, quando il regime di Mussolini sciolse anche il Ppi. Sturzo fu costretto a lasciare l’Italia e riparò dapprima a Parigi, poi a Londra e infine negli Stati Uniti. Scelba rimase a Roma e rifiutò sempre di prendere la tessera del Fascio. Nel 1940, insieme a De Gasperi, a Giovanni Gronchi, a Giuseppe Spataro e Guido Gonella iniziò a preparare di nascosto un partito nuovo: la Democrazia cristiana. 
In quel momento il futuro ministro dell’Interno era un quarantenne piccolo di statura, destinato alla calvizie, con l’aspetto del provinciale inurbato nella Capitale. «Scelba è scialbo» ironizzavano i detrattori. Ma il suo carattere si sarebbe rivelato tutto l’opposto dell’uomo grigio. Possedeva una grande tenacia e una capacità di lavoro che pochi potevano vantare. E una posizione politica chiara e ferrea, l’esatto contrario dei cattolici di sinistra. Considerava i comunisti un rischio per la giovane democrazia italiana e, quando si ritrovò al governo, giorno dopo giorno dimostrò di non avere nessun timore nell’usare la mano dura sul Pci di Togliatti. 
Considerava il Pci un rischio per la giovane democrazia e lo Stato impreparato di fronte al rischio della spallata: «Se fossi in loro, farei la rivoluzione domani mattina» 
Il primo impegno di Scelba come ministro dell’Interno fu di rimettere in sesto quel che restava delle forze dell’ordine. La Pubblica sicurezza era ridotta ai minimi termini. Anche l’Arma dei carabinieri mancava di tutto: mezzi di trasporto, armi, divise, calze, mutande. La paga delle reclute era ridicola e la fiducia nello Stato sotto i tacchi. Se il Pci avesse tentato una spallata per prendere il potere in Italia, non avrebbe incontrato ostacoli. Il giudizio di Scelba era senza scampo: «Se fossi comunista, farei la rivoluzione domani mattina». 
Da ministro dell’Interno cominciò subito a rafforzare la polizia. All’inizio del 1947, gli effettivi della Pubblica sicurezza erano trentamila. Anni dopo Scelba disse ad Antonio Gambino, giornalista del primo Espresso: «Il guaio era che di questi agenti almeno ottomila erano comunisti, tutti ex partigiani delle Garibaldi, pronti ad agire contro lo Stato dall’interno delle forze dell’ordine». Nel giro di un anno la consistenza della polizia venne portata a cinquantamila uomini grazie al reclutamento di giovani che, disse Scelba, «avevano un sicuro senso dello Stato». 
Restava il problema di liberarsi degli agenti legati al partito di Togliatti e nei loro confronti il ministro adottò il vecchio sistema del bastone e della carota. Il sistema era molto semplice: Scelba varò un provvedimento che garantiva una buona liquidazione a chi accettava di dimettersi dalla polizia. Al tempo stesso, chi non voleva andarsene venne trasferito in sedi periferiche molto lontane dalla residenza abituale. Spesso in località disagevoli, nelle zone interne di Sardegna, Sicilia e Calabria. Luoghi dove in caso di un colpo di stato comunista non avrebbero potuto fare nulla. A quel punto fu lo stesso Pci a consigliare ai poliziotti che controllava di lasciare il servizio e intascare la buonuscita. 
Scelba rafforzò e migliorò l’utilizzo dei reparti mobili della polizia, la famosa Celere. Creati dal socialdemocratico Giuseppe Romita, all’inizio erano appena tre dislocati a Roma, Padova e Milano. I famosi celerini viaggiavano su Campagnole della Fiat. Avevano una cattiva fama, ma erano chiamati a difendere la libertà politica e la pace sociale. 
Scelba continuò a essere soprattutto un ministro dell’Interno anche quando divenne presidente del Consiglio nel febbraio 1954. Il suo governo durò poco più di un anno, sino al luglio 1955. Poi la sua stella cominciò ad appannarsi. Nella Dc stavano prevalendo i sostenitori del centrosinistra. Eletto di continuo prima alla Camera e poi al Senato sino al 1979, Scelba fondò una corrente moderata: Centrismo popolare. Non ebbe molta fortuna, ma l’avvocato di Caltagirone era un uomo appagato e si spense a Roma nell’ottobre 1991, a novant’anni compiuti da un mese. 
A distanza di tanto tempo dobbiamo ricordarlo con gratitudine per avere organizzato i corpi di sicurezza italiani.