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 2019  novembre 23 Sabato calendario

Intervista a John Grisham

C’è ancora tanto buio oltre la siepe. E per superare la barriera, per trovare finalmente un po’ di luce, dobbiamo ripartire dalla lezione di Atticus Finch. Dalla sua lotta «per una giustizia giusta, che non sia forte con i deboli e debole con i forti. E che diventi immune dai germi del razzismo e della paura».
In collegamento telefonico dalla città universitaria di Charlottesville, in Virginia, John Grisham torna al romanzo di culto di Harper Lee, e al suo protagonista che al cinema fu interpretato da Gregory Peck, per raccontare ombre e sfide dell’America di oggi. Un Paese in cui tanti, troppi, continuano a finire in galera per errore. Neri, ispanici, gente senza mezzi. Ed è per garantire loro una difesa all’altezza, se non nella realtà almeno nella finzione, che nasce L’avvocato degli innocenti (Mondadori), legal thriller in uscita martedì 26, in cui il personaggio principale dedica la vita alla difesa dei condannati a morte non colpevoli. Una battaglia a cui lo scrittore annuncia di voler dedicare, da ora in poi, tutte le sue energie: a 64 anni, e con oltre 375 milioni di libri venduti, non deve dimostrare più nulla a nessuno.
Signor Grisham, questo romanzo rispecchia il sostegno che lei, da cittadino, fornisce alle associazioni che si battono contro gli errori giudiziari?
«Sì. Tutto è cominciato nel 2006, quando ho scritto il mio unico libro non di finzione, Innocente. Una storia vera . Documentandomi su quel caso, ho visto che sono tantissimi i condannati ingiustamente, qui in America. Per questo lavoro per dar loro una mano. E poi naturalmente c’è il versante letterario: vicende del genere sono interessanti, commoventi, quindi perfette da scrivere».
Crede che un sistema legale ingiusto – verso le minoranze, verso i meno fortunati – sia la grande emergenza americana?
«Certo. Io penso che nei nostri paesi, in Occidente intendo, ci siano i migliori sistemi legali del mondo, soprattutto se paragonati agli altri. Ma ci sono ancora falle, buchi neri. Dobbiamo renderli più civili, soprattutto più equi. Qui negli Stati Uniti, così come in Italia, in Francia, in Gran Bretagna, è frustrante vedere quanto spesso la verità non emerge. Basterebbero piccoli aggiustamenti all’ingranaggio per cambiare rotta: il problema è nella mancanza di volontà politica».
L’aspetto più grave è che alla radice di tutto c’è spesso un atteggiamento classista.
«Proprio così. I bianchi ricchi trovano sempre il modo di aggirare il sistema. Per loro le condanne arrivano quando sono colpevoli davvero oltre ogni ragionevole dubbio, e quasi sempre per reati finanziari. Sono i poveri che finiscono nel braccio della morte.
Perché non ricevono né garanzie né protezione».
Ma quando la giustizia fallisce così clamorosamente, a soffrirne non è la stessa democrazia?
«In parte. Ma resta sempre il sistema migliore: pensiamo alle dittature, ai sistemi autoritari corrotti che nel mondo sono la maggioranza. Dobbiamo difenderla anche quando porta al potere leader pessimi oltre ogni immaginazione, come sta accadendo nel mio Paese. Ma abbiamo ancora il nostro voto con cui rovesciare la situazione».
E poi c’è il versante razzismo.
Che continua a ribollire, anzi rialza la testa, da voi, in America.
Ma che con altri bersagli – gli immigrati, gli ebrei – torna anche qui in Europa.
«Negli Stati Uniti negli anni Sessanta avevamo fatto grandi progressi sul fronte dei diritti civili. Adesso però stiamo tornando indietro. Anche perché qui, come le dicevo, il razzismo contamina fortemente il sistema legale. Tra i condannati alla pena capitale ci sono tantissimi neri. I neri vengono trattati diversamente in tutte le fasi giudiziarie: quando vengono arrestati, poi quando vengono accusati, infine processati. Per non parlare dei giovani neri che vengono condannati a pene severissime per crimini non violenti».
Come vede invece, da lì, la situazione nel Vecchio continente?
«Da voi l’intolleranza si concentra sulle popolazioni provenienti dall’Africa. Le migrazioni di massa spaventano, e si diffonde un sentimento di paura: che portino via il lavoro, che non si integrino nella cultura occidentale».
La paura è un potente strumento di propaganda politica, usato come una clava da tanti leader: sconfiggerla è possibile?
«No, finché esisteranno i social network. È un terreno troppo fertile in cui farla crescere, alimentando odio e intolleranza.
Per non parlare delle fake news. O del dark web, ancora più inafferrabile del web ufficiale. Non riesco proprio a pensare a un modo in cui poter controllare e regolamentare Internet. Anche perché politica, governi e corporation non hanno alcun interesse a farlo».
Si arrenderebbe anche Atticus Finch, il personaggio letterario che ama più di ogni altro?
«Sono cresciuto in una piccola città del Sud, ho letto Il buio oltre la siepe molte volte. Sono diventato avvocato anche grazie al suo messaggio. E perfino in una situazione drammatica come questa che stiamo vivendo, in cui non esistono situazioni facili, non possiamo che fare appello a persone generose, leali, intellettualmente oneste come lui: la parte migliore di noi».
Fu con questo spirito di servizio che molti anni fa si buttò per breve tempo in politica, come deputato alla Camera del Mississippi?
«All’epoca ero tanto idealista, deciso a cambiare davvero la situazione: ad esempio volevo battermi per un sistema scolastico migliore. Ma le cose non erano semplici come credevo.
Ovviamente, col passare del tempo, sono diventato più cinico. E vedo la politica, Washington soprattutto, per quella che è: un luogo in cui ogni decisione dipende dal denaro».
A proposito di cambiamenti: dal 1989, quando pubblicò il suo primo romanzo, a oggi, quanto è mutato il mondo dell’editoria?
«Allora era tutto diverso: Internet non esisteva, i libri si compravano solo nei luoghi di vendita fisici. Poi, in pochi anni, abbiamo assistito a una drastica trasformazione. Per fortuna ancora adesso esistono buone librerie, che però non riescono a competere con un colosso come Amazon. Certo, gli ebook hanno aperto un altro mercato, il che è sempre positivo.
Ma gli editori non vogliono correre rischi. E cercano sempre nuovi idoli pop che portino guadagni.
Resto però convinto che se tu scrivi un buon libro, prima o poi troverai il modo di emergere».
Lei di strada ne ha già fatta tanta. Cosa c’è nel suo futuro?
«Continuerò ancora a scrivere, almeno fino a ottant’anni ( ride) . E continuerò, attraverso i miei romanzi e la mia popolarità, a battermi contro le ingiustizie del sistema».