Anteprima, 22 novembre 2019
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Biografia di Franco Vernice
Franco Vernice (1952-2019). Giornalista. Inviato di Repubblica. «Vernice era un cronista duttile: incontri nelle fabbriche, comizi, scandalo del calcio, indagini sulla città. Seguì a lungo l’inchiesta sul traffico d’armi e la politica che costò al magistrato Carlo Palermo l’attentato di Pizzolungo, nel trapanese, nel quale morirono — era il 1985 — una donna e i due figli gemelli. Dai processi contro la malavita organizzata a quelli con i terroristi dietro le gabbie delle aule bunker, riempiva il taccuino di dettagli precisi. E alternava “la strada”, e il ruolo di inviato, a quello di coordinatore dei “pezzi” che le redazioni del Nord mandavano alla sede centrale. Era un abile “passatore”, nel senso che – parliamo soprattutto di un’epoca nella quale non c’era il computer, ma la macchina per scrivere, e nelle redazioni c’era una nebbia per il fumo delle sigarette e delle pipe – con la penna stilografica correggeva punteggiatura, trovava il sostantivo più adatto, eliminava aggettivi. Consegnandogli il pezzo si poteva essere sicuri che, al netto di qualche borbottio, e magari qualche parolaccia, ne sarebbe uscito migliore: Vernice era uno degli interpreti dell’artigianato giornalistico, del lavoro quotidiano di “lima” sul linguaggio, della curiosità che spingeva a ficcare il naso, a far domande scomode, a “portare la notizia”. Faceva sentire i più giovani “protetti” dalla forza del giornale, dall’esperienza dei più anziani, i suoi erano suggerimenti preziosi. Forse come uomo non si voleva molto bene, ma questo è difficile da dire, perché solo ai più intimi confidava le sue tristezze e le sue passioni (una per Bob Dylan) e, andato in pensione, era rimasto nel suo amato quartiere di Porta Venezia, dal quale, talvolta, si faceva vivo. Da qualche tempo s’era ammalato e, considerati i pro e i contro delle terapie, aveva deciso di non affidarsi alla medicina, ma al destino: e così, con poche persone intorno, ha salutato e n’è andato. E oggi, a casa sua, offre a chi lo conosceva l’ultimo bicchiere» [Colaprico, Rep.].