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 2019  novembre 22 Venerdì calendario

La storia dell’auto in mostra a Londra

Da oggetto del desiderio per una élite, all’essenza stessa dell’industrializzazione di massa. Da sogno eroico di velocità e libertà di movimento, a simbolo dell’alienazione moderna. Da strumento per accorciare le distanze tra la gente a mezzo di distruzione dell’uomo e dell’ambiente.
Cosa resta dell’auto, che un tempo era l’immagine stessa del futuro e del progresso? Al Victoria & Albert Museum di Londra una bella retrospettiva sull’auto («Cars: Accelerating the Modern World») dà una risposta non scontata: l’automobile sarà ancora il futuro. Sembra un paradosso, in un’epoca in cui il ciclo sembrava definitivamente archiviato e dove la parola auto si associa al peggio della nostra civiltà: inquinamento, riscaldamento globale, emissioni, traffico, stress, incidenti stradali, tensioni sociali (scioperi, chiusure di stabilimenti, crisi dell’acciaio eccetera).
Ma ve lo immaginate un futuro senza auto? L’aereo è il nuovo demonio e non torneremo mai a muoverci a cavallo o a piedi, questo è certo. Tutto sta nel vedere che cosa diventerà l’auto nei prossimi decenni. La suggestione futuristica del V&A è nell’ultima sala, dove sulla testa del visitatore fluttua l’auto volante Pop.Up Next (creazione Italdesign – Giugiaro - con Airbus e Audi), una rivoluzione che risponde a quattro caratteristiche imprescindibili: che sia elettrica, a guida autonoma, volante e on-demand (prenotabile via smartpone). Ecco il futuro, e sembra un oggetto uscito da un film di fantascienza più che da una reale fabbrica. 
La macchina volante chiude idealmente il cerchio e rimanda alla sala iniziale dell’esposizione, dove l’auto è raccontata attraverso il desiderio di velocità e la suggestione delle immagini futuristiche delle auto volanti di Blade Runner, e alle altre macchine fantastiche progettate nei secoli passati dall’uomo. 
È una caratteristica del V&A quella di mostrare il potere del design di cambiare il mondo. Nel bene o nel male, in appena 130 anni l’automobile ha plasmato il mondo nella forma che conosciamo. E ha ragione Brendan Cormier, curatore con Lizzie Bisley di questa rassegna, quando dice che «nessun altro oggetto di design ha avuto un impatto globale tanto grande quanto l’automobile». I due hanno messo insieme una bella carrellata di 250 oggetti e di 15 autovetture, stimolo alla riflessione anche per chi non ha alcun interesse nell’auto in sé stessa. Non importa conoscere i modelli o essere degli esperti o degli appassionati, per calarsi nel racconto di come l’automobile sia stata la forza trainante che ha accelerato il passo del Ventesimo secolo.
Ci sono esemplari unici e bellissimi, intendiamoci. Apprezzabili anche da un assoluto neofita. Tipo la Jaguar E-Type del 1961, quella che Enzo Ferrari definì «la più bella macchina mai costruita», usata per il matrimonio del principe Harry con Meghan. O la prima auto prodotta in serie, la Benz Patent Motowagen 3 del 1888, più somigliante a una littorina a cavalli che a un’auto. Fece scalpore non tanto la velocità (16 chilometri l’ora), quanto la grande distanza percorsa da Bertha, per far pubblicità all’invenzione del marito ingegnere Karl Benz: 60 miglia, 96 chilometri. C’è la Firebird 1, una specie di razzo con una turbina prodotto dalla Gm per raggiungere 321 chilometri all’ora di velocità massima. E le auto del Boom: uno dei primi esemplari di Maggiolino della VW, la macchina del popolo. E la Seicento Multipla della Fiat del 1956, definita qui l’auto della famiglia, disegnata dal mitico Dante Giacosa, l’uomo che ha messo le quattro ruote agli italiani, con la 600 e la 500.
Per rimanere all’Italia, c’è anche un bel plastico del Lingotto e una curiosa pubblicità femminista ante litteram dove una coppia aspetta con ansia la vettura Fiat e poi sarà lei a guidarla, mentre grande spazio è dedicato anche a come lo sviluppo dell’auto negli anni 20 e 30 abbia dato il via alla costruzione di una nuova e moderna rete viaria (ideata dall’ingegner Puricelli), che è diventata l’ossatura delle moderne autostrade (è in mostra la piantina) solo per auto, dove pedoni, bici e animali erano proibiti e che i tedeschi ci hanno poi copiato con le loro Autobahn. E come a questa abbia fatto seguito anche una nuova architettura dei ristori, gli Autogrill e i grill Motta, strettamente connessi alle prime vacanze di massa e a un nuovo concetto di turismo gastronomico: per la prima volta la gente si ferma a mangiare mentre viaggia in autostrada.
Ci sono le gioie dell’auto, associata alla ricerca del brivido, con ampie sezioni dedicate alle corse e al fascino della velocità al femminile e a come gli studi dell’aerodinamica abbiano influenzato il design di una enorme quantità di oggetti anche insospettabili, tipo radio, ventilatori e affettatrici. 
Ma ci sono anche i dolori: gli incidenti stradali (al momento della presentazione della mostra alla stampa il numero dei morti di quest’anno nel mondo era 1.194.908, ma il tabellone è aggiornato in tempo reale), l’accelerazione che diventa alienazione in un filmato nel traffico di Londra, e poi c’è il mostruoso «Graham», ovvero come un essere umano dovrebbe evolversi per resistere a un incidente d’auto: faccia piatta per assorbire l’impatto, cranio enorme pieno di liquido per non danneggiare il cervello e molti capezzoli con funzione da airbag.
Nella sezione incubi - oltre al riscaldamento globale e all’anidride carbonica, con alcune divertenti curiosità sui derivati del petrolio (l’entusiasmo con cui vennero accolti il tupperware e le calze di nylon) - ci sono gli effetti collaterali della massificazione prodotta dall’auto, principalmente il fordismo. Da come Henry Ford per la sua catena di assemblaggio si sia ispirato al sistema di «smontaggio» della carcassa di un animale su un nastro trasportatore nel mattatoio, fino alla toccante lettera della moglie di un operaio della catena di montaggio (data 23 gennaio 1914): «Caro Mr Ford, la catena che lei ha inventato è uno strumento da schiavi. Mio Dio, Mr Ford, vada un paio d’ore a vedere come lavorano, senza neppure poter andare in bagno, e sono sicura che lei non permetterebbe mai una cosa così».