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 2019  novembre 22 Venerdì calendario

Le giravolte del governo sulle vicende estere

Certo, due mesi e mezzo sono pochi per un ministero come quello degli Esteri che presuppone una conoscenza letteralmente a 360 gradi. E, giurano alla Farnesina, Luigi Di Maio si è messo veramente a testa bassa a studiare una pila di dossier alta così. Ma è un fatto che l’assenza dell’Italia dai tavoli internazionali o quantomeno la sua presenza "distratta" si noti, e non solo al G20 del Giappone, dove il titolare sarà sostituito oggi e domani dalla sua vice Emanuela Del Re.
Hong Kong e la Cina
«Noi in questo momento non vogliamo interferire nelle questioni altrui, per quanto ci riguarda, abbiamo un approccio di non ingerenza negli affari di altri Paesi»: risponde Di Maio ai giornalisti al seguito all’Expo di Shanghai e domandano la posizione dell’Italia sulla crisi nella ex colonia britannica. È la prima settimana di novembre, la polizia di Hong Kong picchia duro, la violenza dilaga, uno studente è morto fuggendo dalle cariche e un uomo pro-Pechino è stato dato alle fiamme. Nel giro di pochi giorni Stati Uniti, Gran Bretagna e Ue condanneranno quanto sta accadendo (e pure la repressione in Xinjiang). L’Italia non si sente. Eppure, vantando un rapporto economico privilegiato con la Cina della "Belt and Road", Di Maio potrebbe avere voce in capitolo. Invece l’Expo si chiude così. E Macron firma con Xi Jinping 40 accordi miliardari.
Il Venezuela sospeso
L’ultima sortita dell’allora ministro del Lavoro Di Maio sul Venezuela, antica passione del M5S più chavista, risale a fine marzo: era in visita oltreoceano per rassicurare l’amico americano sul nostro solido atlantismo e spiegò al consigliere per la sicurezza nazionale Bolton che «L’Italia non riconosce Nicolas Maduro e la legittimità delle elezioni svolte in Venezuela. Il nostro Paese chiede subito nuove elezioni libere». Un duro colpo ai suoi, che da Roma tuonavano contro il "golpista" Guaidó, salvo poi (nello stesso viaggio) proporre una conferenza di pace sulla Libia «mediata da Paesi senza interessi, tipo quelli sudamericani di Alba» (alias Venezuela e Cuba). Da allora niente. Il Venezuela è tutt’altro che pacificato (El Salvador ha espulso i suoi diplomatici perché ritiene illegittimo Maduro) ma l’Italia, con oltre 3,5 milioni di connazionali che vivono là (tra immigrati e seconde o terze generazioni), tace.
L’Egitto oltre Regeni
Di Maio aveva promesso che una volta alla Farnesina si sarebbe occupato del caso Regeni, un cavallo di battaglia del M5S che 4 anni fa era all’opposizione e non perdeva occasione per attaccare l’inefficienza del governo. E il 7 ottobre, un mese dopo l’insediamento, ha incontrato i genitori del ricercatore torturato e ucciso al Cairo nel gennaio del 2006. Parole ferme quelle di Di Maio: «Riconosciamo che l’Egitto ha un ruolo chiave nella regione ma non intendiamo deflettere dalla ferma richiesta di giustizia per Regeni. Abbiamo preso atto della lettera della procura del Cairo, non possiamo accettare che non ci sia la massima collaborazione». Quella collaborazione non c’è e non c’è mai stata e per questo i Regeni hanno rinnovato al ministro la richiesta di ritirare il nostro ambasciatore in Egitto. Il Cairo di suo finge di non sentire. Ma cosa, poi? Su Regeni c’è un muro di gomma ma anche su altri dossier, a partire dalla Libia, quando al Sisi prende il telefono non chiama Roma.