Il Sole 24 Ore, 21 novembre 2019
Sotto le banche europee una mina da 400 miliardi
Non solo tassi negativi, bassa redditività e fusioni al palo. Sulle banche europee nei prossimi anni arriverà una tegola, in termini di fabbisogno di capitale aggiuntivo, da 300-400 miliardi di euro. L’allarme è stato lanciato dal direttore generale dell’Abi e presidente del comitato esecutivo della Federazione bancaria europea, Giovanni Sabatini, in occasione di un seminario a Ravenna. È l’impatto stimato da uno studio commissionato dalla Federazione che simula l’effetto dell’accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali delle banche. L’iter per il recepimento nelle direttive europee (direttiva Crd4 e regolamento Crr) dell’accordo è appena iniziato a Bruxelles, con l’avvio di una consultazione. Il fatto che l’adozione di Basilea non sarebbe stata una passeggiata di salute per le banche della Ue non è una novità: l’Eba, l’Autorità bancaria europea, aveva già calcolato un incremento medio del fabbisogno patrimoniale del 21% calcolato sui requisiti minimi di capitale, con un impatto di 135 miliardi. L’accordo di Basilea entrerà in vigore nel 2022 con una fase di implementazione progressiva (phase in) fino al 2027, quando l’effetto complessivo è calcolato a questa data.
«L’analisi di impatto che abbiamo commissionato a Copenaghen Economics tiene conto del fatto che i livelli di capitalizzazione delle banche europee sono elevati, con un Cet1 medio tra il 13 e il 14% – spiega Sabatini -. Per questo motivo il conto finale è ben più elevato rispetto alle stime Eba e rasente i 400 miliardi. Lo studio va anche oltre, esaminando l’effetto finale delle misure sulla crescita del Pil europeo: il risultato è una contrazione a regime dello 0,4 per cento. Per questo motivo invitiamo la Ue a una seria riflessione su come mitigare l’impatto di Basilea, che è comunque un accordo internazionale. Anche alla luce di quanto accadrà alle banche nordamericane: se nel caso della Ue l’incremento medio sarà superiore al 20%, gli istituti nordamericani avranno invece un beneficio dello 0,3%. E questo contribuirà a ridurre la competitività dei nostri istituti rispetto a quelli extra Ue». Uno dei fattori che incide sull’aumento del fabbisogno del capitale e rimarca la differenza tra Usa e Ue, è il cosiddetto “output floor”, quel meccanismo voluto dagli americani e che serve a ridurre la discrezionalità nel decidere gli accantonamenti patrimoniali per le banche, soprattutto quelle nordeuropee, che utilizzano modelli interni (in alternativa ai modelli standard) per calcolare la ponderazione del rischio delle varie attività. Le banche italiane, in genere, adottano modelli standard e per questo motivo per loro Basilea peserà di meno. Anche se, poi, nell’impianto dell’accordo ci sono una serie di implicazioni e declinazioni che toccano invece da vicino il rapporto tra banche e Pmi e gli strumenti per rendere a queste ultime meno oneroso l’accesso al credito.
Ma prima di entrare nel dettaglio, va registrata un’altra novità degli ultimi giorni che riguarda l’accordo di Basilea. Il comitato, che come è noto è composto dai governatori delle banche centrali di tutto il globo, ha avviato nei giorni scorsi una consultazione per modificare proprio quell’accordo che ora la Ue si appresta a recepire nelle sue direttive. Il tema in oggetto è la regolazione sul trattamento prudenziale dei titoli di Stato, proprio quel tema che il ministro delle Finanze, Olaf Scholz, aveva risollevato nei giorni scorsi, includendo la stretta sui requisiti prudenziali per quei titoli tra le condizioni per dare via libera al sistema di garanzie europee sui depositi bancari necessario per completare l’Unione bancaria. Va ricordato che il comitato a fine 2017 – in sede di chiusura dell’accordo di Basilea – aveva tentato di approvare una riforma che introduceva accantonamenti sui titoli di Stato (oggi non sono previsti, perchè quegli strumenti sono considerati privi di rischio). All’interno del comitato non era stato trovato l’accordo e quindi il testo era stato accantonato: se fosse entrato in vigore, considerata l’attuale esposizione del sistema bancario italiano verso i Btp, l’aumento del fabbisogno di capitale sarebbe stato di quasi 6 miliardi. La consultazione appena aperta (le risposte sono attese entro il 14 febbraio) prevede di partire intanto da una nuova forma di trasparenza sulle esposizioni in titoli sovrani di ogni singola banca, dichiarando quanto è classificato come “detenuto a scadenza” e quanto come “disponibile per la vendita” e il rapporto rispetto al totale delle attività ponderate per il rischio. L’approccio al momento è soft: gli obblighi di trasparenza varrebbero solo per le giurisdizione che su base volontaria intendono adottarli. Ma intanto, è il ragionamento degli addetti ai lavori, il comitato si porta avanti e acquisisce a livello centralizzato (oggi quei dati sono disponibili a livello di singole banche centrali) la misura dei rischi verso gli Stati sovrani. E magari il prossimo passo sarà ritentare la stretta: anche se sicuramente gli Stati Uniti, che hanno un peso specifico molto importante nelle decisioni del comitato, difficilmente cederanno su questo punto. L’esito della consultazione e la regolazione che ne deriverà entrerà comunque in vigore con tutto il pacchetto dal 2022.
Tornando alle misure già adottate da Basilea, è prevista la soppressione del Pmi supporting factor, lo sconto in termini di accantonamenti per i finanziamenti concessi alle Pmi. E ancora: viene penalizzata l’erogazione del credito verso le Pmi senza rating e questo potrebbe coinvolgere molte imprese italiane. Poi, come ha ricordato a Ravenna Federico Cornelli, responsabile Abi delle relazioni con la Ue, c’è la stretta sul credito a vista, molto diffuso tra piccole imprese ed esercizi commerciali. Oggi non è considerato un credito a rischio, ma Basilea introduce l’obbligo di accantonamenti sull’accordato non utilizzo che potrebbe ridurre la disponibilità complessiva concessa all’impresa.