Corriere della Sera, 21 novembre 2019
La guerra delle tasse
La battaglia delle tasse è in pieno svolgimento. Non solo all’interno dei singoli Paesi, anche tra diversi Stati. Tutti i governi, salvo poche eccezioni, vogliono spendere – è elemento essenziale per la loro sussistenza – e dunque vogliono raccogliere più denaro possibile. Dal momento che ciò che si può estrarre da cittadini e imprese è ormai, quasi ovunque, al limite oltre il quale si innescano effetti collaterali negativi (una caduta degli investimenti e dell’attività), i Paesi dell’Ocse hanno deciso di riformare le regole, vecchie di un secolo, sulla base delle quali le società multinazionali spostano i loro capitali da un posto all’altro per minimizzare ciò che pagano ai diversi collettori. L’Ocse ha preparato una proposta di riforma sulla quale spera raccogliere il consenso di principio dei 34 Paesi che ne fanno parte. Non sarà però un’impresa facile. Nei giorni scorsi, per esempio, in Lussemburgo si è capito che gli Stati Uniti – i quali in teoria sarebbero tra i beneficiari della riforma – stanno per molti versi facendo da soli. Secondo dati della stessa Ocse – che è l’Organizzazione dei Paesi più industrializzati – nel 2018 ben 351 miliardi di euro hanno lasciato il Granducato. Gran parte di questi sono andati negli Stati Uniti, rimpatriati da multinazionali americane come Amazon, PayPal, Skype che li avevano fatti transitare in Lussemburgo per approfittare del suo regime fiscale favorevole. È successo che nel dicembre 2017 Donald Trump ha firmato il Tax Cuts and Job Act, con il quale ha ridotto dal 35 al 21% l’imposta sul reddito delle società, tassazione che avviene una volta sola sui profitti detenuti all’estero e riportati negli Stati Uniti dalle imprese Usa. La proposta dell’Ocse prevede che una parte degli utili di una multinazionale sia invece tassata nel Paese nel quale l’attività è avvenuta: ad esempio se Amazon ha venduto in Italia, una quota delle tasse del gruppo andrebbe versata al governo di Roma. Nonostante che le multinazionali si siano dette favorevoli ai principi razionalizzatori della riforma – perché non vogliono rischiare di subire una doppia tassazione – rimangono molti ostacoli tecnici da superare e la necessità di fare accordi per applicare le nuove norme a livello globale. Con in più il fatto che Trump ha già riportato a casa parecchi miliardi e oggi è probabilmente meno interessato a un accordo multilaterale.