Corriere della Sera, 21 novembre 2019
Biografia di Yorgen Fenech
«Il ruolo di Yorgen Fenech era di pagare il capo di gabinetto del premier Joseph Muscat. Un capo di gabinetto che è ancora al suo posto». Le parole di Matthew, il figlio di Daphne, anche lui reporter d’inchiesta, riassumono bene chi sia questo faccendiere Yorgen Fenech, 40 anni, terza generazione d’una famiglia d’albergatori e palazzinari, patron della movida di Portomaso, direttore della centrale termoelettrica Electrogas controllata dalla tedesca Siemens (che lo ha già scaricato). E perché il suo arresto faccia tremare Malta: «È uno sviluppo tardivo, ma comunque importante. Tutto questo porta alla politica».
Che cosa c’entra Fenech? E perché è bastata la testimonianza d’un tassista, a incastrare questo reuccio del gioco d’azzardo e di mille traffici? Tutto si sa da almeno un anno. Da quando Matthew lavorò sul blog di Daphne, imbattendosi in un articolo scritto da sua mamma otto mesi prima di morire. Caruana aveva scoperto una società segreta off-shore con base a Dubai, la 17 Black, nome nero del riciclaggio internazionale, già nel 2017 sotto inchiesta in Svezia per la gestione di «un vasto network criminale» basato sul gioco online: attraverso la sua controllata L&L Europe Ltd., la 17 Black era stata privata della licenza di gioco in Scandinavia e s’era vista sequestrare 51 milioni di dollari sulle banche norvegesi, accusa di autoriciclaggio.
Daphne non aveva scritto chi fosse il vero proprietario della 17 Black. Lo scorso dicembre, però, spuntò una email dall’inchiesta Panama Papers che rivelava «pagamenti per servizi non specificati» tra la 17 Black e due società panamensi appartenenti a membri del governo: l’allora ministro dell’Energia (oggi al Turismo) Konrad Mizzi e l’attuale capo di gabinetto del premier, Keith Schembri. Sarebbero girati almeno due milioni di dollari fra Panama e 17 Black: tangenti, dicono ora gli investigatori, legati a una fornitura di gas dall’Azerbaigian all’Electrogas. Sì, proprio quello: l’impianto gestito da Fenech.
Siamo solo all’inizio. «Come minimo, Muscat deve andarsene – dice Andrew, altro figlio di Daphne —: se non avesse protetto Schembri e Mizzi nel 2016, mia mamma sarebbe ancora viva. Il premier ha le mani sporche di sangue». È un gioco di specchi: il capo della polizia è di nomina governativa e il tassista Theuma, teme qualcuno, potrebbe essere una fonte pilotata per ostacolare indagini ben più impervie. Colpisce che l’immunità penale, in cambio della verità, sia stata decisa «in solitudine» dal premier Muscat (che è il più colpito dalle rivelazioni: «Non mi dimetto», ripete) e sia applaudita dal leader dell’opposizione Adrian Delia (lo stesso che Daphne scoprì proprietario di conti in nero a Jersey).
A Malta, dal Russiagate al Daphnegate, ci sono troppi segreti inconfessabili. E se tiri un filo, scopri mille trame. Un rapporto di luglio della Banca centrale europea mette sotto accusa perfino il più grande istituto di credito del più piccolo Paese dell’eurozona, la Bank of Valletta (Bov), partecipata al 10% anche da Unicredit. In 42 pagine la Bce chiede la testa dei manager, «inadatti» a rendere trasparenti almeno 13mila conti sospettabili di riciclaggio e di copertura del gioco d’azzardo. La Bce cita la controllata Pilatus Bank, banca iraniana su cui – sosteneva Daphne – giravano pure soldi intestati alla moglie del premier Muscat, serviti a finanziare l’elezione del 2013 e forse provenienti da tangenti sul gas dell’Azerbaigian.
Dopo l’assassinio di Caruana Galizia, Usa e Ue hanno chiesto chiarezza al governo della Valletta. L’arresto di Fenech sembra quasi una mossa obbligata. O disperata. Chissà se la malta in cui affonda l’isola riuscirà a inghiottire tutto, anche stavolta.