Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  novembre 21 Giovedì calendario

La violenza sulle donne ai raggi X

«Le donne, spesso, non hanno la forza di raccontare. Ma i corpi e le lesioni parlano per loro, rivelano vertigini di orrore quotidiano. Per questo ho deciso di mostrare la violenza domestica come la vediamo noi al pronto soccorso: ossa rotte, nasi spaccati, occhi pesti, mani fratturate, polsi slogati, gambe rotte, coltellate, bruciature, morsi, segni di strangolamento, ferite da torture con pezzi di vetro. O addirittura un pugnale nella schiena. Lo scenario di una guerra nascosta nelle mura di casa che i numeri non riescono a raccontare». Maria Grazia Vantadori, 59 anni, è una coraggiosa chirurga dell’ospedale San Carlo di Milano che ha deciso di esporre “l’invisibile” delle sue pazienti. Ossia le loro radiografie (anonime) che raccontano le sevizie subite da mariti, ex mariti, compagni, fidanzati.
Una mostra estrema e tragica, organizzata per la Giornata contro al violenza sulle donne del 25 novembre, insieme alla Fondazione Pangea, che sarà inaugurata oggi nell’atrio dell’ospedale San Carlo.
Qui dove Maria Grazia Vantadori non soltanto fa la chirurga da 26 anni («mi raccomando – dice – chirurga non chirurgo») ma è la referente del Casd, centro ascolto soccorso donna. «In tutti questi anni di prima linea, ho visto centinaia e centinaia di radiografie di donne con lesioni di ogni tipo, anche gravissime. Anche di fronte all’evidenza – dice Vantadori – molte continuavano a negare che gli autori di quelle sevizie fossero i loro mariti e familiari. Per paura, vergogna, timore di perdere i figli. Pur nel rischio di essere uccise». Una negazione della violenza domestica drammatica, che però i corpi martoriati invece rivelano. Fino all’estremo di una donna arrivata al San Carlo con un pugnale conficcato nella schiena. «Sì, quella donna è sopravvissuta, anzi una sopravvissuta. Perché la sfida del nostro centro – dice Vantadori – è non solo soccorrere, ma anche aiutare le pazienti a uscire da quella schiavitù. Chi le accoglie deve saper decodificare i loro silenzi, comprendere quelle le lesioni incompatibili con quanto le donne narrano».
Segni di strangolamento sul collo, insomma, sono ben difficili da giustificare con una caduta sulle scale, ma possono essere invece, proprio per la parte del corpo aggredita, dice Vantadori, «la pericolosa anticamera del femminicidio». Quindi il secondo passaggio, dopo il pronto soccorso, è quello del centro di ascolto dell’ospedale stesso, dove le donne trovano un percorso: verso una casa rifugio, verso una separazione, verso un sostegno psicologico.
Una mostra dura, innovativa, ma emblematica, che ha messo insieme l’ospedale San Carlo di Milano, l’associazione Pangea e Reama, un network di mutuo aiuto tra associazioni e soggetti per il contrasto alla violenza sulle donne. Perché è soltanto trovando una rete che ci si può affrancare da prigioni come quelle che raccontano (o tacciono) le donne che arrivano nei pronto soccorso. Spiega Simona Lanzoni, vicepresidente di Pangea: «Con la rete Reama abbiamo voluto creare intorno alle donne un circuito in grado di supportarle, ma anche chiedere la reale applicazione della Convenzione di Instanbul». La violenza sulle donne, ha ricordato Matteo Stocco, direttore dell’azienda socio sanitaria Santi Paolo e Carlo «è una grave violazione dei diritti umani». Ricorda Vantadori: «Ho visto donne dell’alta società massacrate dai loro mariti e immigrate poverissime con le ossa rotte. La violenza domestica non ha censo né razza, colpisce tutte. Molte grazie all’accesso pronto soccorso si sono poi salvate, alcune, purtroppo no. Ed è a loro che penso».