https://www.lettera43.it/mes-fondo-salva-stati-banche-patuelli/, 20 novembre 2019
La banche minacciano di non comprare più Btp se cambiano le regole del Mes
Le banche italiane sono pronte alla “rivolta” se le regole del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), detto anche fondo salva-Stati, dovessero cambiare in peggio.
Su tutto il dossier il premier Giuseppe Conte riferirà al Senato il 10 dicembre, come richiesto dalla Conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama. E nel frattempo si difende dagli attacchi della Lega: «Oggi abbiamo scoperto che c’è un negoziato in corso da un anno. Il delirio collettivo sul Mes è stato suscitato dal leader dell’opposizione, lo stesso che qualche mese fa partecipava ai tavoli discutendo di questo argomento. Abbiamo avuto vertici di maggioranza con i massimi esponenti della Lega, quattro incontri. E ora c’è chi scopre che era al tavolo a sua insaputa». I cittadini, ha aggiunto Conte, «pretendono dal governo un atteggiamento responsabile e io pretendo un’opposizione seria, credibile, perché difendiamo tutti gli interessi nazionali, altrimenti è un sovranismo da operetta».
Di sicuro il presidente dell’Associazione bancaria italiana (Abi), Antonio Patuelli, non ha usato mezzi termini: «Noi siamo liberi di comprare titoli sovrani, non abbiamo un vincolo di portafoglio e in questa fase abbiamo circa 400 miliardi di debito pubblico italiano». Ma il problema è «cosa fa la Repubblica italiana per tutelare il debito pubblico. Non si tratta di debito delle banche». Quindi l’avvertimento: «Se le condizioni relative al debito si alterano, o per maggiori assorbimenti o per elementi che favoriscono sinistri, è chiaro che le banche sottoscriveranno meno debito pubblico. Non compreremo più» Btp.
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LE TAPPE PER LA RIFORMA DEL MES
I possibili cambiamenti di scenario evocati da Patuelli si riferiscono proprio all’approvazione definitiva della riforma del Mes. Al processo manca ancora una riunione dei capi di governo europei fissata per il 13 dicembre, poi toccherà ai parlamenti nazionali portare avanti il percorso di ratifica.
LE INSISTENZE DEI PAESI NORDICI
Alcuni Paesi nordici dell’Eurozona hanno chiesto con insistenza di modificare le cosiddette Clausole di azione collettiva (Cac), che definiscono le procedure in caso di ristrutturazione di un debito sovrano facente parte della moneta unica. La riforma prevede una semplificazione di una delle due linee di credito precauzionali che un Paese può chiedere, perché per ottenerla non sarà più necessario un memorandum of understanding, bensì una lettera d’intenti. Ma aggiunge nuove condizioni legate al rispetto delle regole del Patto di stabilità e crescita.
I CAMBIAMENTI PIÙ IMPORTANTI
A partire dal 2022, secondo questa impostazione, il fondo salva-Stati potrebbe intervenire per aiutare un Paese in difficoltà solo se, nei due anni precedenti, il deficit non ha superato il 3% del Pil e solo se il rapporto debito/Pil è inferiore al 60%. In alternativa il Paese in questione (ad esempio l’Italia, che ha un rapporto debito/Pil pari al 134,8%) dovrebbe approvare un piano di riforme strutturali per portare il differenziale alla soglia desiderata al ritmo di un ventesimo all’anno. L’Italia è oggi il terzo maggior sostenitore del fondo salva-Stati con un contributo di 14 miliardi di euro, superata solo da Germania e Francia.
LA POSIZIONE DELLA BANCA D’ITALIA
Queste prospettive di riforma hanno fatto dire al governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che «i piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere ponderati rispetto all’enorme rischio che il mero annuncio di una sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default». Fonti di Bankitalia hanno poi precisato che la riforma del Mes non prevede uno scambio tra assistenza finanziaria e ristrutturazione del debito. Inoltre, la verifica della sostenibilità del debito stesso prima della concessione degli aiuti è già in vigore. Visco non avrebbe quindi inteso esprimere un giudizio sfavorevole sulla riforma, quanto piuttosto mettere in guardia dai possibili rischi in assenza di un complessivo riordino della governance economica dell’Eurozona. All’Italia sta particolarmente a cuore il completamento dell’Unione bancaria con lo schema comune di assicurazione dei depositi, attualmente molto indietro rispetto alle richieste di Roma.
LE POLEMICHE POLITICHE
Questione assai complessa, che però è tracimata nella polemica politica quando il leader della Lega, Matteo Salvini, ha accusato di «alto tradimento» il premier Conte, sostenendo che avesse dato «di nascosto» l’ok dell’Italia alle nuove regole del Mes. Il 20 novembre l’ex ministro dell’Interno è tornato a battere sullo stesso tasto: «Il signor Conte è bugiardo o smemorato. Se fosse onesto direbbe che a quei tavoli, così come a ogni dibattito pubblico, compresi quelli parlamentari, abbiamo sempre detto di no al Mes. Non è difficile da ammettere e del resto, se necessario, ci sono numerose dichiarazioni a testimonianza della contrarietà espressa da tutti i componenti della Lega, ministri compresi, su questo argomento. Cosa teme il presidente del Consiglio? Ha forse svenduto i risparmi degli italiani?».
LE RASSICURAZIONI DEL TESORO (E DI BANCA INTESA)
In serata sono arrivate anche le rassicurazioni del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri: «L’Italia non ha avuto, non ha e non avrà bisogno dei prestiti del Mes. Il debito italiano è sostenibile, ha una dinamica sotto controllo anche grazie alla politica fiscale prudente e a sostegno della crescita che il Paese porta avanti». Il fondo, in ogni caso, «deve essere considerato come un nostro alleato, non come un nemico». Sulla stessa linea anche Carlo Messina, ceo di Intesa SanPaolo: «Ritengo che il debito pubblico del nostro Paese non corra alcun rischio di sostenibilità. Per questo motivo non vediamo ragioni per cui la modifica delle modalità di funzionamento del Mes incida sulle nostre politiche di investimento relative ai titoli di Stato italiani. È evidente che la priorità per l’Italia è quella di proseguire nelle riforme strutturali a sostegno della crescita e in politiche fiscali mirate alla riduzione del debito».