ItaliaOggi, 19 novembre 2019
L’industria della pesca inquina e uccide 100 mila tra balene e delfini
La plastica soffoca i mari e suoi abitanti, ma anche l’industria della pesca ha le sue colpe perché il 10% delle materie plastiche che inquinano i mari proviene dalla pesca. A sostenerlo è la Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione. Una valutazione per difetto, che non sarebbe all’altezza della realtà del problema secondo Greenpeace, organizzazione non governativa ambientalista e pacifista che si batte per la difesa del clima, delle balene, dell’interruzione dei test nucleari e dell’ambiente in generale. A riportarlo è Le Figaro.Un disastro ambientale che, a giudizio di Greenpeace, evidenzia un altro problema: la mancanza di governance internazionale per gestire il problema. In effetti, il 64% degli oceani sfugge alla sovranità dei Paesi. Inoltre, è molto difficile riuscire a catturare colpevoli e inadempienti.
Dunque, dopo l’agricoltura, e i suoi fattori inquinanti, adesso tocca al settore della pesca subire gli strali delle Ong, le organizzazioni non governative. Greenpeace è impegnata in una campagna che ha l’obiettivo finale di fare in modo che pescatori e pescherecci siano costretti a recuperare i propri materiali. In caso contrario, dovranno essere obbligati a pagare una tassa nel caso in cui si «dimentichino» di ritirare le proprie reti, siano esse piene o vuote. Per l’associazione ambientalista, che si rifà alle cifre fornite dalle Nazioni Unite, ogni anno qualcosa come 640 mila tonnellate all’incirca, fra reti, ceste, plastica, trappole di ogni genere e materiali di ogni tipo dell’industria della pesca vengono persi o abbandonati sul fondo del mare.
Perdere le attrezzature è molto raramente un atto volontario, ma non per questo è meno dannoso: per capire meglio l’entità del fenomeno le 640 mila tonnellate che si depositano negli abissi ogni anno è pari a 55 mila bus inglesi a due piani, secondo il paragone di Le Figaro. E ci vogliono 600 anni prima che si disintegrino.
Oltre che per l’inquinamento vero e proprio, Greenpeace sta protestando anche contro le insidie mortali costituite da questi materiali abbandonati nei mari che si trasformano in trappole che non lasciano scampo ai pesci. Ogni anno sono all’incirca centomila tra balene, delfini, leoni marini, foche e tartarughe a rimanere impigliati e a morire a causa delle reti dimenticate secondo l’Ong, World Animal Protection, per la protezione degli animali. Una strage silenziosa.