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 2019  novembre 20 Mercoledì calendario

Intervista a Riccardo Chailly

La «prima» scaligera del 7 dicembre sarà la prima Tosca, ovvero quella che andò in scena il 14 gennaio 1900 al Teatro Costanzi di Roma, poi modificata infinite volte. Con questa Tosca, che è una delle opere più rappresentate nel mondo, il maestro Riccardo Chailly giunge a una tappa fondamentale del suo scavo su Puccini, che ha il senso di dimostrarne la ricchezza attraverso i ripensamenti.
Maestro, ci sta insegnando a comprendere che le partiture sono un non-finito.
«Più che non-finito vorrei sottolineare l’infinito pucciniano. Aveva un rapporto contrastante con se stesso, i ripensamenti erano inevitabili. Non tutti i compositori sono così. Lo era anche Felix Mendelssohn. Puccini era così autocritico da essere nocivo a se stesso. Doveva avere più fiducia nel suo talento».
Eppure era un uomo vitalistico: amava donne, macchine, sigari…
«Il vitalismo nascondeva il tormento, i conflitti nei confronti della sua creatività».
Cambiava per travaglio o per esigenze di marketing?
«Anche per esigenze esterne. In genere abbreviava. In questa Tosca ci sono otto passaggi inediti che è importante conoscere. Non è una imposizione, ma fare tutto Puccini in prima edizione consente di capire quanto fosse un perfezionista».
Rispetto all’edizione più eseguita cosa cambia?
«Il Te deum è una diversa melodia corale e senza raddoppio degli ottoni, tutto a cappella; in Vissi d’arte il dialogo con Scarpia continua con queste battute: “Risolvi. No. Bada il tempo è veloce. Mi vuoi supplice ai tuoi piedi?” e queste due battute in più sono un collante con il resto dell’opera; quando Scarpia dice “Tosca, finalmente mia” ci sono 14 battute concitatissime orchestrali che toccano quasi un linguaggio espressionista, come se volesse sfondare il mondo tonale. Infine, all’affermazione “Scarpia, avanti a Dio…” c’è una coda di 12 battute che riprende E lucevan le stelle».
Puccini amava le donne ma torturava i soprani con ruoli difficilissimi.
«Le donne erano le sue muse. La donna è sempre la figura centrale, nel più alto profilo di sensualità, erotismo, classe, rispetto. Il canto è sempre eseguibile, sebbene al limite, e richiede grandi interpreti».
«Tosca» è anche un’opera politica: cosa c’è di attuale?
«Il coraggio di rappresentare la brutalità, la sopraffazione di un uomo su una donna nel modo più bieco e più infimo. L’agire non onestamente: questo aspetto è molto attuale e quasi ossessivo nell’evolversi del secondo atto. Fino a che la vittima si ribella e agisce come una tigre».
I tre protagonisti, Netrebko, Meli, Salsi sono voci adatte? Qui hanno cantato la Tebaldi, Di Stefano, Pavarotti, Domingo…
«Sono perfettamente adeguati. Anna Netrebko è idonea alle intemperie di queste vocalità. La prima donna pucciniana è sempre molto esposta nella scrittura, ma lei ha la vocalità giusta. Meli è preparatissimo, ha già cantato Cavaradossi e negli ultimi tre anni la sua voce si è ampliata e cresciuta. Salsi torna dopo lo Chénier ed è formidabile come vocalità e arte scenica. Si lavora bene anche con Davide Livermore: nelle scene ci saranno i tre tradizionali luoghi di Roma, ma in maniera sorprendente. Con il coro di Bruno Casoni e l’orchestra si lavora dai tempi della nostra prima incisione pucciniana insieme, La bohème con Alagna e la Gheorghiu».
Veniamo alle interpretazioni. Il primo a dirigerla alla Scala fu Toscanini…
«L’opera arrivò qui due mesi dopo la prima romana, ma non è mai stato considerato un titolo per il 7 dicembre. La prima incisione di Tosca parte da questo teatro nel 1929 con il maestro Sabaino. L’incisione odierna si collega alla tradizione scaligera».
Rispetto alle altre prime?
«Vive del beneficio di aver avuto una frequentazione e assidua con quasi tutto Puccini: Trittico, Turandot con il finale di Berio e le prime versioni di La fanciulla del West, Madama Butterfly e Manon Lescaut. Conto di eseguire tutto l’integrale di Puccini».
Finirà con un nuovo sovrintendente, Dominique Meyer.
«Ci stiamo capendo bene, è un grande professionista. Con Pereira sono stati anni importanti. Auguro ad Alexander pari soddisfazione a Firenze».