Corriere della Sera, 20 novembre 2019
I venti soffiano più forte
«La risposta soffia nel vento» cantava Bob Dylan in Blowin’ in the wind. E oggi soffia più forte visto che a partire dal 2010 la velocità dei venti è aumentata del 7 per cento, in controtendenza rispetto a quanto registrato nei 30 anni precedenti, quando i venti erano calati del 2,3% ogni decennio, fenomeno denominato stilling e noto nella letteratura scientifica.
La nuova ricerca ha sorpreso gli stessi autori, guidati da Zhenzhong Zeng dell’Università di Princeton e Cesar Azorin-Molina dell’Università di Göteborg, che due anni fa avevano diffuso un’analisi in cui dimostravano che dagli anni Sessanta la velocità del vento sulla terraferma era diminuita di 0,5 chilometri all’ora per decennio. Fatto che aveva convinto l’Unione europea a finanziare con 186 mila euro il progetto Stilling, guidato da Azorin-Molina, per cercare di dare una risposta a un fenomeno che ha importanti implicazioni in vari settori come la produzione di energia eolica, la navigazione, l’agricoltura, la qualità dell’aria e i fenomeni meteo estremi.
Le cause della diminuzione del vento non avevano trovato un consenso generale tra i climatologi che avevano indicato 3-4 indiziati: la variabilità della circolazione dell’aria dovuta alla reciproca influenza di oceano e atmosfera, l’aumentata rugosità della terraferma conseguente alla crescita del tessuto urbano e alla riforestazione specialmente nei pressi dei punti di raccolta dei dati, strumenti più sofisticati di misurazione rispetto al passato, la prevalenza dei dati dall’emisfero Nord e dalle aree abitate rispetto alla loro scarsità dalle zone più remote. L’estrapolazione della velocità dei venti ricavata dalle rilevazioni satellitari non aveva fornito risultati univoci.
Basata sull’analisi dei dati raccolti dagli anni Settanta da 9 mila stazioni meteorologiche e pubblicata su Nature Climate Change, la nuova ricerca ribalta lo scenario e indica nelle interazioni tra oceani e atmosfera il fenomeno naturale conosciuto come ocean-atmosphere oscillations, la principale causa della ripresa della velocità del vento. In particolare sono citate tre oscillazioni decennali: dell’oceano Pacifico, del Nord Atlantico e dell’Indice Tropicale Nord Atlantico, quest’ultimo descrive l’anomalia delle medie mensili della temperatura dell’acqua in superficie nell’oceano Atlantico tra il Nord Africa e il Sudamerica.
E nell’area mediterranea? «Le proiezioni indicano un progressivo rallentamento della velocità del vento in quest’area, che ha come conseguenza una leggera diminuzione della forza del mare», spiega Gianmaria Sannino, climatologo e responsabile del laboratorio di modellistica climatica dell’Enea. «I nostri dati però non sono in contrasto con quelli del nuovo studio: su Nature si parla di variabilità decennale naturale del clima, di interazioni aria-mare così potenti da modificare la pressione atmosferica e quindi l’intensità dei venti. Noi indichiamo invece una tendenza a lungo termine». Avverte infatti lo stesso Zeng: «L’incremento che abbiamo registrato potrebbe durare una decina di anni ed essere seguito da una riduzione come nei 30 anni precedenti».
Gli autori dello studio puntualizzano che il riscaldamento globale mescola le carte e non consente di valutare appieno l’impatto delle temperature più alte sull’aumento della velocità dei venti. «Lo studio dei venti può aggiungere un tassello nella comprensione degli effetti del global warming», dice Zeng.
Se i venti sono più forti crescerà la produzione eolica, componente del mix di rinnovabili che costituisce un fattore determinante per contenere nel 2100 entro i 2 gradi di incremento la temperatura globale rispetto alla media dell’epoca pre-industriale, come prescritto dall’Accordo di Parigi sul clima. Ce la faremo? Come diceva Dylan, «la risposta soffia nel vento».