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 2019  novembre 17 Domenica calendario

Da "La ladra di frutta" di Peter Handke (Guanda)

La campagna si era ondulata, su e giù, in onde di anno in anno sempre più possenti, con un ritmo che non solo era evidente per gli occhi, ma che camminando, passeggiando, bighellonando, andava inscrivendosi anche nelle suole, nelle ginocchia, e fin su nelle spalle. Proprio così, vedi: la natura, quella grande, aveva impresso un ritmo nuovo di zecca a ciò che era livellato, la campagna adesso irraggiava ritmi, e io mi immaginavo che la ladra di frutta, in cammino per quelle terre, attraverso monti e valli, si fermasse proprio su una delle cime arrotondate e si schermasse gli occhi di fronte a un vasto panorama, oppure si sdraiasse nell’erba e, come facevamo da bambini, si lasciasse rotolare giù per il pendio. Sì, quello mi era proprio, era qualcosa che mi apparteneva. E dentro di me, nell’intimo, al tempo stesso balenava, silenziosa e già subito svanita, l’immagine di un determinato villaggio nel Carso, soltanto il muro esterno di una casa accanto al quale un tempo camminavo, solo adesso me ne ero accorto, solo adesso si era rianimata quell’immagine che (...) era pronta a balenare e a levarsi in volo. Guizzano e balenano di continuo di fronte a me, anche oggi, inspiegabilmente, enigmaticamente, queste istantanee mute, a volte immagini deserte che tornano dal passato, di regola da un passato lontano, senza alcuna connessione con chissà quale evento del giorno, senza alcuna memoria, alcun ricordo intenzionale che possa richiamarle: svolazzano e scintillano, lampeggiano, scompaiono di nuovo subito dopo, non c’è unità di tempo che possa misurarle, mancano per settimane e poi in uno stesso giorno mi attraversano come uno sciame di immagini, scevre di qualsiasi significato o di chissà quale intento di significare, eppure ogni volta io le vivo intensamente, le accolgo, soprattutto dopo un’assenza prolungata e nei giorni di angustia, perfino quando non fiammeggiano ma si limitano a vacillare, fanno fumo e fuliggine, emanano una luce fioca, salutandole con un «Dunque non tutto è ancora perduto!».

Ah il tuo cuore!

«Quando sei in cammino, non scansare nessuno, neanche di una spanna... Nessuno ti toccherà se non vuoi, figurati poi se alzerà le mani su di te... Nessuno vuole farti del male... Guardali, semplicemente, con gli occhi, con i tuoi occhi, e tutti, anche l’ubriaco perso, anche quel tipo odioso ben noto perfino oltre i confini della regione, anche lo scemo del villaggio — soprattutto lui — saranno buoni con te, buoni, sì! proprio come sono, vorranno farti del bene proprio come, sì, da sempre desiderano fare a qualcuno. L’ubriaco fradicio ti cederà il passo con un profondo inchino, pur finendo, forse, per capitombolare a testa in giù tra i cardi sul bordo della strada. La lingua del diavolo odioso, che poco prima gli penzolava, suddivisa in sette parti, da ciascuna delle sue sette bocche, si trasformerà in un’unica lingua di angelo, in una lingua di fuoco ardente sul suo capo come a Pentecoste. Lo scemo del villaggio ti offrirà la caramella d’orzo che già da decenni portava con sé a questo scopo, infilata nella tasca più profonda dei pantaloni. Niente di niente ti potrà succedere, mia cara ladra di frutta, almeno non dall’esterno... Dall’interno, be’, sì... Ah, il tuo cuore: guarda com’è fatto, sembra destinato a spezzarsi per un nonnulla, e anche tu sei stata fatta e concepita per dormire in un bagno di sudore, nell’angoscia, e per non risvegliarti mai più ... Al tempo stesso: nessuno è più gioioso, più colmo di gioia, più portato a gioire di te, o mia ladra di frutta!».

Il «frattempo»

E a quel punto il padre aveva concluso le istruzioni che le affidava per il suo cammino: «Evita il controluce. E cioè: solo a mezzogiorno pieno, quando il sole è allo zenit, cammina con il sole negli occhi, altrimenti, al mattino e verso sera, quando il sole è basso, dagli le spalle. Il controluce inganna, ingrandisce, rimpicciolisce. Un gatto diventa una volpe, un cane lupo si riduce a un barboncino, un bambino si trasforma in un mostro e un mostro in un bambino piccolo. E ancora una cosa: bada di fare delle pause, il più possibile frequenti. Ah, come ho ripreso fiato, e poi respirato più tranquillamente, ogni volta che una storia drammatica è stata interrotta da un “nel frattempo”. Le pause sono in tuo potere. Non fartele sottrarre! Durante le pause, sulle tratte intermedie, è lì che succede, è lì che sarà, che è. Cerca, fermati, grida, corri, rovista nei boschi, soprattutto in quelli più piccoli, esamina in modo estremamente meticoloso le strade principali, le città, i villaggi, i borghi, soprattutto quelli, sì. Ma nei momenti di pausa tra l’uno e l’altro imbocca il sentiero dietro gli orti, non potrà nuocerti. Nella pausa, slaccia e riallaccia con cura, magari per ore, le scarpe, metti un piede davanti all’altro, non guardare al di là della punta delle tue scarpe, lascia che siano i piedi ad andare avanti. E ancora una cosa: un pasto caldo al giorno. Non fidarti degli orari degli autobus. Ripiega con ordine le carte geografiche. Indossa due paia di calze...».

Perché «ladra»

Incredibile quel che poteva scoprire un ladro di frutta! Nel corso di quello che ormai era un quarto di secolo di vita, si era spesso spostata in vari luoghi: in tutti quanti però, almeno per un giorno, e forse anche per il giorno dopo — per più di due giorni non si sentiva al sicuro da nessuna parte —, aveva iniziato a sentirsi di casa grazie al fatto di rubare la frutta. Prendeva le misure di ogni luogo in base ai punti, ai posti e agli angoli dove cresceva un frutto che avrebbe potuto portarsi via. Le bastavano un giorno e una notte e nel suo intimo si poteva richiamare qualcosa come una cartografia dei parametri fruttiferi, gli unici che avrebbero potuto fare di quel luogo un ambiente. Saltava all’occhio (o, di nuovo, anche no) il fatto che quei «punti trigonometrici» in genere erano in effetti solo punti singoli. Non c’erano interi frutteti che valessero per lei come segnavia, né serre, né campi e certo non colonie d’alberi o cespugli e piantagioni, ma sempre solo singole piante, o un arbusto che cresceva solitario, e mai vigneti, fossero essi coltivati in pianura o in collina: quanto era importante invece, per segnare un paesaggio, un singolo ciuffo di fogliame, quasi nascosto dietro uno steccato, che le si rivelava solo grazie a un paio di dentellate foglie di vite cresciute tra due assi o tra due maglie del recinto.

Immagini delfinesche

Si vedeva addirittura investita — senza sapere come accadesse, e senza chiedersi un perché — da uno sciame di immagini, momenti, immagini di momenti, che le venivano riportate dai luoghi in cui era stata nel corso della vita. Le immagini non facevano in tempo a emergere, balenando per un attimo, che già erano affondate e scomparse di nuovo. Ad apparire, in tutto ciò, non erano mai i luoghi nella loro interezza, bensì, ogni volta, solo dei frammenti, che costituivano però un tutt’uno di per sé e non avevano niente a che vedere con un «pezzetto». Così si accendevano in un lampo questi e quei luoghi del suo passato, quali che fossero, arrivavano in volo, a sciami, venivano scorti una seconda volta, ritornavano, ma non provenivano da un qualche posto fuori, bensì da lei stessa; e anche quando, quasi contemporaneamente, alla maniera dei delfini, si tuffavano guizzando via e sparivano, non scomparivano da qualche parte chissà dove al di fuori di lei, ma piuttosto dentro di lei; non andavano perduti per sempre, ma restavano invece costantemente presenti in lei, nel suo corpo. Certo quei delfini fatti di immagini di luoghi non li si poteva richiamare indietro, ma erano pronti a saltare fuori, a balzare su per mostrarsi e, se non come immagini del mare di Bering, di Giza, della Sierra de Gredos, tornavano comunque con le sembianze di qualche altro luogo, e poi un altro ancora…

Un andare caleidoscopico

A un singolo dettaglio ne seguiva un altro e al tempo stesso, invece, assenza di eventi. Misurare a grandi passi e prendere le misure. Andare nel vuoto. Andare a vuoto. Un girare a vuoto come qualcosa di fondamentalmente diverso da un correre a vuoto — e intanto abbracciare un dettaglio dopo l’altro e coglierli l’uno rispetto all’altro: un andare caleidoscopico. Il caleidoscopio dei tratti intermedi e degli intervalli di tempo. Un simile caleidoscopio come passatempo? Sì, anche — perché no?

Un leggere corroborante

La ladra di frutta, prima di partire, si era ritirata ancora un momentino nella camera sotto la scala di pietra. Era come se lì, proprio lì, dove c’era a malapena posto per muovere qualche passo, dove c’era appena lo spazio per girarsi su sé stessi, potesse attingere le forze per ciò che sarebbe venuto. La cameretta, quella stanzetta remota, così la vedeva lei, così aveva stabilito, così voleva la storia di lei e quella degli altri, doveva servirle come palestra. Non si sarebbero impiegati attrezzi, né manubri, né tapis roulant, né estensori a molla. Lì poteva risparmiarsi anche il suo allenamento a ore antelucane, sollevare un bastone come fosse un giavellotto senza però scagliarlo via, il ritmico distendere e incurvare le dita verso un frutto immaginario su un albero immaginario. Se c’era un attrezzo nella stanza, uno che rafforzava senza propriamente accrescere la forza, quello era unicamente un libro. Un leggere corroborante e, perché no, un leggere che incrementava la forza. Come era possibile? Un libro come attrezzo? Quello che lei stava leggendo e che continuava a leggere, sì, lo era. Si leggeva da sé come tanti libri? No, non «si» leggeva da solo; era lei che leggeva. Prima c’era stata una decisione da prendere, una decisione la aspettava anche quel giorno. — Ma che cosa si doveva decidere oggi? — Nessuna risposta. — Spianare la pagina su cui il giorno prima aveva fatto un orecchio, il segnalibro: ora per lei era come se a fare quella piega fosse stato qualcun altro.