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 2019  novembre 17 Domenica calendario

Intervista a due autrici iraniane: Camelia Ghazali ("I’m a Woman. Do You Hear Me?") e Nassim Honaryar ("Ninna nanna a Teheran")

Sono due donne di Teheran. Camelia Ghazali, 34 anni, vive nella capitale iraniana e, con la sua compagnia teatrale, porterà al Piccolo di Milano uno spettacolo intitolato I’m a Woman. Do you hear me?. Nassim Honaryar, 42 anni, pittrice e illustratrice, abita a Levizzano, in provincia di Modena (è in Italia da 15 anni), ma torna spesso nella sua città natale, dove è ambientata la sua prima graphic novel, Ninna nanna a Teheran (Rizzoli Lizard), una favola sulla vita dei bambini di strada. Nel racconto spiccano due figure femminili: Shila, una ragazzina che vende fiori per strada, e Sakine, una donna che la sfrutta e vuole spingerla a prostituirsi. Entrambe vivono ai margini di una società che le discrimina. Anche lo spettacolo di Ghazali esplora l’identità, l’interiorità femminile e la paura di essere ignorate: gli attori recitano monologhi, dando voce ai pensieri di una donna, come fosse spezzata in diversi corpi. La regista spiega che «la vita femminile è fisiologicamente intrecciata al dolore, ma esiste un’altra sofferenza, una forma di disumanità, inflitta alle donne dalla società in cui vivono, che rifiuta di ascoltarne la voce» .

Alcune artiste iraniane lamentano che spesso le si interpella su questioni di genere anziché sulla loro arte, ma voi avete deciso di mettere le donne al centro della vostra arte. Perché?

CAMELIA GHAZALI — Essere donna in Iran è molto difficile, ma io credo che lo sia anche in altri Paesi. Quasi tutte le persone della mia compagnia teatrale, tranne due o tre, sono donne: abbiamo lavorato insieme, ho scritto delle mie e delle nostre esperienze come donne orientali, di questioni come l’amore, la speranza, la guerra, e dell’effetto che hanno su di noi. Mi sono sorpresa quando all’estero mi hanno detto che molti di questi temi sono universali. Il principale è il rifiuto di ascoltare le donne. C’è una parte della società — fatta soprattutto di uomini, ma non solo — che non riesce a tollerare le donne forti, e non intendo dire in ruoli di capo o di presidente: è che non sopportano che una donna possa avere successo, si sentono in pericolo, cercano di spingerle a nascondersi e a tacere. Quando ho messo in scena questo spettacolo in Iran, due anni fa, alcuni uomini tra il pubblico mi hanno chiesto perché non l’ho intitolato I am a Man. Do you hear me?. Ho detto loro che ci penserò, forse per un progetto futuro.

NASSIM HONARYAR — L’idea del mio libro nasce dalla riflessione su favole come Cappuccetto rosso, Alice nel Paese delle Meraviglie, Peter Pan. Volevo raccontare la vita dei bambini di strada: i pericoli, ma anche le gentilezze tra di loro, i giochi, l’amore. Shila all’inizio non è coraggiosa, è silenziosa, come ci si aspetta spesso dalle donne iraniane. Ed è in pericolo come Cappuccetto rosso nel bosco: un uomo la vuole violentare. Shila prende una pistola e cerca di usarla per fare quello che non poteva fare prima. È un’altra donna, Sakine, che in qualche modo comanda, a decidere che Shila debba prostituirsi. Ha un passato oscuro, forse da bambina è stata violentata: adesso che la sua vita è rovinata, non le importa più di niente e mette nella stessa situazione altre ragazze. Ci sono aspetti della realtà femminile di cui la società non parla. A Teheran le prostitute sono tantissime: ragazze normali fanno questo lavoro perché vogliono avere tutto; e a volte, per non dare nell’occhio per strada, si portano dietro pure i bambini. Nel Sud di Teheran, nella città vecchia, tante persone non vivono bene: la maggior parte dei padri sono drogati, le madri portano avanti la famiglia e, se i genitori non ci sono più, i bambini vanno a lavorare».

Le donne studiano e lavorano in molti campi in Iran. Ma vengono accettate e rispettate nei settori in cui operano?

CAMELIA GHAZALI — Oggi in Iran le donne lottano per ogni cosa, e possono arrivare a realizzare obiettivi che per le generazioni di mia madre e mia nonna non erano possibili. Non voglio dire che sia più facile; si può trovare la strada, anche se è difficile. Quel che è importante è che si tratta di una lotta per le donne, gli uomini e la società. Mia nonna ha 84 anni, si è sposata a 14 e suo marito è morto quando lei ne aveva 30. Non si è mai risposata perché la gente avrebbe parlato male di lei e perché i suoi figli maschi non volevano un patrigno, ritenevano che avrebbe danneggiato la reputazione della famiglia. Ha cresciuto i figli da sola, senza l’aiuto di nessuno. Mia madre si è sposata a 17 anni, non era molto comune che le donne lavorassero, ci si aspettava che fosse una madre e si curasse della casa. E così ha fatto, anche se mi ha sempre detto che avrebbe voluto diventare medico. Ma ora le cose sono cambiate.

NASSIM HONARYAR — Chi non è mai stato nel nostro Paese pensa che le donne non possano fare niente, non possano guidare, non abbiano libertà: in realtà sono un po’ limitate, ma fanno tutto, anche se velate. Ci sono donne capofamiglia, lavorano in quasi tutti i settori, anche se magari lo stipendio è inferiore a quello degli uomini, ma è difficile farsi accettare e rispettare. Mia sorella è avvocato: dopo tanto tempo e tanti sforzi per essere conosciuta, s’è fatta un nome e lavora bene, ma quel mestiere è difficile per una donna, dev’esserci qualcuno che ti apre la strada, altrimenti non ti prendono sul serio. La stessa cosa vale per il medico o il professore...».

Spesso quando si parla dell’Iran si pone l’accento sui divieti imposti dallo Stato, ma quanto conta la famiglia? La vostra famiglia vi ha appoggiate nella vostra carriera di artiste?

NASSIM HONARYAR — Nelle famiglie più religiose le donne non devono sbagliare mai, da loro dipende l’orgoglio di tutti: vai a studiare, vai al lavoro, ma ci sono sempre dei limiti. Le famiglie più aperte, invece, non ci pensano neanche. Nelle famiglie in cui comanda il padre — a me per fortuna è capitato poco, perché la mia era abbastanza aperta — il capo dopo di lui è il figlio, che può decidere anche per la madre, le sorelle e tutte le femmine di casa. Alcune donne lo accettano purtroppo, perché non vogliono guai. Ma molte donne coraggiose combattono ogni giorno difendendo i propri diritti, litigando con i figli, il padre, il marito, il capo, per essere ascoltate.

CORNELIA GHAZALI — La mia famiglia è del Nord-Ovest di Teheran, ed è religiosa. All’inizio non mi hanno appoggiata, nemmeno mia madre. Quando dovevo scegliere l’università, lei era molto preoccupata perché il teatro e il cinema hanno una brutta reputazione. Ha cercato di farmi cambiare idea: magari avrei potuto fare la traduttrice, studiare le lingue... Ma io ho insistito, volevo diventare un’attrice, non sapevo come altro vivere. Volevo avere successo in questo campo e sono una brava ragazza, mi concentro semplicemente sul mio lavoro. Adesso sono felicissimi, è incredibile, mio padre dice che vorrebbe vedermi anche al cinema. Io ribatto: «Ma come, prima hai distrutto la mia vita e ora dici così?» (ride).

È possibile per voi mettere in scena o in mostra in Iran quello che fate?

CAMELIA GHAZALI — Nella maggior parte dei casi la censura diventa un’opportunità per essere più creativi, per elaborare nuove idee. Sappiamo che dobbiamo coprirci il corpo e i capelli perché in Iran è offensivo mostrarli, e come donna non ho problemi a lavorare in questa situazione. Conosco le regole, so come gestirmi: non è un limite per me né come regista né come attrice. Lo spettacolo I’m a Woman che mettiamo in scena è lo stesso in Iran e in Italia.

NASSIM HONARYAR — In quasi tutte le mie opere come pittrice appare il chador. Sotto i chador le donne sono nude, senza vestiti, coperte ma scoperte. I miei primi lavori sono stati accompagnati da un senso di liberazione; mentre il fumetto ti permette di raccontare una storia, la pittura è stata un modo per sollevarmi da un peso. In Iran, le donne possono andare in giro mostrando i capelli che fuoriescono un po’ dal velo e portare le maniche un po’ più su dei polsi, ma nella pittura non puoi mostrarle come sono in realtà. Non puoi usare una foto o un disegno realistico del corpo femminile, devi nasconderne la sensualità — e non parlo solo dei nudi, ma anche di donne con abiti normali come maglia e pantalone. In Iran non ho mai fatto una mostra. Per questo sono qui per dipingere».

Perché gli artisti iraniani osano, sempre sul filo tra lecito e illecito?

NASSIM HONARYAR — Siamo molto stanchi, ma pensiamo che da qualche parte si debba cominciare, perché se stiamo tutti in silenzio non succederà mai niente. A volte uno fa un passo avanti e gli altri gli vanno dietro, poi qualcuno finisce nei guai e si arretra, fino alla prossima volta. Il suo prossimo lavoro sarà sugli uomini?

CAMELIA GHAZALI — No, sarà su Le Mille e una notte, ancora sulle donne. Quel che voglio dire è che le donne sono moderne combattenti. Non iniziano guerre, ma cercano di cambiare gli uomini e la società raccontando una storia