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 2019  novembre 19 Martedì calendario

I conti in rosso del Bologna

Anche ora che il Bologna ha preso a fornirne una sintesi, per evitare fughe di notizie come capitava in passato, il bilancio (chiuso al 30 giugno e consultato da Repubblica) resta una fotografia formale molto utile per valutare lo stato di salute del club. Insufficiente però per capire la politica di Joey Saputo e i suoi progetti quinquennali se non decennali. E nemmeno basta, come usavano fare una volta i “cremlinologi” ai tempi del centralismo democratico, scrutare la disposizione dei dirigenti nel mausoleo di Casteldebole, vedere, nelle foto ufficiali, chi sta a destra e chi a sinistra del capo, decifrarne i rari comunicati e le rarissime uscite pubbliche.
Il quinto esercizio, chiuso con 21.7 milioni di passivo, conferma semmai che col calcio Saputo non guadagna. Ma 40 miliardi di vecchie lire di segno meno sono comunque briciole per il portafoglio di cui la famiglia dispone. Frattanto i costi di gestione sono cresciuti, la posizione finanziaria netta è peggiorata ed è negativa per 13,4 milioni ( contro gli 8,7 preceden-ti), la campagna di rafforzamento di gennaio ha inciso sul monte ingaggi, passato da 44.3 a 54.6 milioni. Se non si riuscirà a vendere bene qualche pezzo pregiato, anche il bilancio del 2020 rischia d’essere negativo. Non è un caso che già ora il presidente abbia garantito «l’impegno irrevocabile tramite interventi sul capitale e con finanziamenti soci». Quindici li ha già messi in estate, altri seguiranno. Con un proprietario così la continuità aziendale non sarà mai a rischio. Il club è sano, investe nel vivaio (costato 1,8 nell’ultimo anno ricco di successi, compreso, oltre alla promozione della Primavera, l’inaspettato trionfo al torneo di Viareggio) e vorrebbe autoalimentarsi con le plusvalenze. Ma l’ultima sontuosa è quella di Verdi, cui si doveva il risicato passivo di 4.9 del penultimo esercizio; e anche se il fatturato ha superato per la prima volta i 70 milioni (contro 65,3 di 12 mesi fa) e anche se i diritti tv pure per il Bologna sono cresciuti ( da 36.1 a 44.1), i costi di produzione sono saliti (105.6). E quei 10 milioni in più di stipendi ne comprendono anche 5 per i tecnici ( contro 3.3 del 2018), 2.2 di incentivi all’esodo e 6.4 di premi per il clamoroso decimo posto. Sono aumentati anche i dipendenti. Ora il totale, fra 40 calciatori, 55 impiegati, 3 dirigenti e 8 operai e altre figure, ha raggiunto quota 200 ( 172 nel 2018). La Juve, stando al Sole 24 ore, conta circa 500 fra dirigenti e impiegati, il Napoli, che partecipa alla Champions League, una cinquantina.
Nel bilancio, chiuso al 30 giugno, non figurano, ovviamente, le operazioni successive: Tomiyasu, Skov Olsen, Denswil, Schouten e Medel, oltre 20 milioni di cartellini, e nemmeno rientrano i 10 che il club incasserà per Pulgar. Sono invece compresi ( con pagamenti naturalmente dilazionati) i 16 milioni per Soriano e Sansone (8 a testa) e i 15 per Orsolini. E gli acquisti e le cessioni precedenti. Svanberg pagato 4,5, Danilo 415 mila euro, Bani 2.7, Masina venduto a 3.8 (tutta plusvalenza), Krafth che ne ha fruttata una sorprendente di 1.8. Di 2.6 quella di Ferrari, rispettivamente di 450 mila e di 270 mila quelle di De Maio e Gonzalez; Falcinelli e Di Francesco sono stati scambiati a 7 milioni, Petkovic venduto a 876 mila euro (plusvalenza di appena 80 mila euro): ora fa la Champions nella Dinamo Zagabria.
Ma questi, in attesa di vedere che ne sarà di Zlatan Ibrahimovic che resta il sogno di gennaio, sono freddi numeri. La politica è un’altra cosa. Fallita l’intesa con il gruppo Maccaferri, tramontato l’affare ai Prati di Caprara, si cerca un nuovo partner industriale per lo stadio, magari con un nuovo socio di minoranza, nell’ottica del restyling. Anni fa Saputo tentò una sortita con l’Aston Villa, ora potrebbe riprovarci in Belgio dopo aver valutato, senza concluderla, un’acquisizione in Svizzera. L’idea di piantare qualche bandierina in un movimento sempre più globale e sempre più legato all’intrattenimento, può darsi gli sia utile in strategie non semplicemente sportive. Che comprasse la Granarolo era la vulgata dominante quando planò a Bologna, ma nulla s’è mosso. In città tanti continuano a chiedersi il perché del suo sbarco a Bologna e quale strategia persegua. Domandarselo e magari dividersi, su quest’argomento, è lecito.