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 2019  novembre 19 Martedì calendario

Un’anticipazione dal nuovo libro di Houellebecq

Anticipiamo stralci di un racconto di Michel Houellebecq, tratto dalla raccolta “Cahier”, in libreria da giovedì 21 con La nave di Teseo.
 
Dev’essere successo, penso, nella primavera del 1992. La mia prima raccolta di poesie, La ricerca della felicità, è appena uscita. Pranzo con Jean Ristat in una pizzeria di Ivry-sur-Seine. Mi serve dell’altro vino, poi, con un sorrisetto timido, mi annuncia che fa parte della giuria di un premio. Un premio letterario, sì, è così. Il premio Tristan Tzara, per essere precisi. Accetterei, all’occorrenza?… La cerimonia è molto simpatica, si tiene a Aubigny-sur-Nère, nello Cher: ci saranno dei vignaioli, dei consiglieri provinciali, il sindaco di un partito minore di destra… insomma, la vita vera. Ci sarà persino un senatore, se è libero. Ma, se dovessi rifiutare, sarebbe molto imbarazzante; tanto vale allora non parlarne più. A ogni modo, non cambierà affatto i nostri rapporti, in un senso come nell’altro. Ma naturalmente, Jean, ma naturalmente. Un premio letterario? Finalmente. Addirittura evviva!
Quattro anni dopo. La mia seconda raccolta di poesie, Il senso della lotta, è uscita in marzo o aprile. La scena deve svolgersi in ottobre, ma non ne sono sicuro (che mi stia rimbambendo?). Una certezza: sono al telefono, e il ruolo di Jean Ristat è interpretato stavolta da Frédéric Beigbeder. Ha voglia di votare per me, si sente; tuttavia si preoccupa. Ottenuto il premio, non andrò mica fuori di testa? Metterò fine alla mia carriera letteraria, brucerò i miei manoscritti, andrò a rinchiudermi in un monastero in Cile? Ma no, Frédéric, ma no. Ho il controllo su tutto, la situazione in mano; del resto, sono seguito da Lydie Salvayre, autrice della Puissance des mouches e psichiatra di professione. La mia mente è chiara, lucida…
Il premio Tristan Tzara ammonta a cinquemila franchi (offerti dalle Éditions Belin), a cinquanta bottiglie di Sancerre (bianco e rosso) e a un bottiglione da tre litri di sancerre bianco con inciso il mio nome. Il premio Flore a quarantamila franchi (offerti da chi?) e a trecentosessantacinque bicchieri da venticinque centilitri di Pouilly fumé (stavolta è il bicchiere a recare inciso il mio nome). Lo si vede, anche senza tenere conto dei benefici immateriali, il premio Flore è meglio. È vero che nel frattempo ho pubblicato un romanzo, Estensione del dominio della lotta, divenuto un libro-culto (nessuno lo compera, tutti lo leggono).
Scrittore riconosciuto, suscito tuttavia sempre delle inquietudini. Invitato a un convegno a Grenoble, chiacchiero con uno degli organizzatori una domenica mattina, a colazione, prima della mia partenza. Tutto è andato bene; mi confessa il suo sollievo. “Houellebecq… buona idea… gli avevano detto, ma bisogna stare attenti… evitare che si spogli in pubblico. Insomma, cerca…”. Non so, non so che cosa rispondergli. Devono circolare notizie false.
Quel giovedì 7 novembre, dunque, telefono a Flammarion. Capito direttamente su Valérie Taillefer. Ho vinto il Flore. Sembra felice. E (lo segnalo per mostrare alle generazioni future che non ero del tutto cattivo), davvero, ciò che mi fa più piacere in quel momento è sentire dalla sua voce che Valérie è felice. Distesa. Benché un po’ preoccupata verso la fine: “Viene, vero, Michel? Non ci tirerà mica un bidone?”.
Torniamo indietro. Stabiliamo le cose con chiarezza. Dall’inizio degli anni Novanta, le mie pubblicazioni si susseguono con regolarità. Invitato alla televisione, ho chiacchierato, pieno di pertinenza, con svariati presentatori. Presente alle fiere del libro, mi sono prestato con buonumore al gioco delle firme e delle dediche. Non ho mai insultato un fotografo, anzi, mantengo con alcuni di loro eccellenti rapporti. Non capisco. Che cos’ho che non va? Di che cosa mi sospettano? Accetto i riconoscimenti, gli onori, le ricompense. Sto al gioco. Sono normale. Scrittore normale. Talvolta mi alzo di notte e mi guardo allo specchio; osservo il mio volto, cerco di vedere ciò che gli altri vedono, e che li inquieta. Non sono molto bello, questo è certo, ma non sono l’unico. Dev’essere qualcos’altro. Lo sguardo? Forse lo sguardo. L’unica cosa che non si vede nello specchio è il proprio sguardo…
Ho un ottimo ricordo del premio a Aubigny-sur-Nère. Tutto il paese si era spostato, ammassandosi nella sala delle feste, per quello che costituiva evidentemente l’evento culturale dell’anno. Sembravano contenti di vedermi, sembravano soprattutto contenti di essere là; un’occasione come un’altra di ritrovarsi, non peggiore del 14 luglio o dell’11 novembre. Mediatore necessario delle loro festività locali, mi sentivo, a quel titolo, giustificato. Ebbene, stasera, nella sala del Café de Flore, è un po’ la stessa cosa: tutto il paese si è spostato. È stato verso le venti che tutto è cambiato radicalmente, in maniera probabilmente definitiva. Mi ricordo benissimo di quel momento. Chiacchieravo, in maniera distesa e in certo qual modo illanguidita, con Raphaël Sorin. Eravamo appoggiati con i gomiti alla balaustra, al primo piano del Flore. Un fotografo si è avvicinato. Senza interrompere la conversazione ho leggermente rivolto lo sguardo verso di lui abbozzando un sorriso; non mi disturbava affatto. Da un pezzo ero alla ricerca di una maniera di vivere. Ed ecco fatto, avevo trovato: sarei diventato una star.
Fissato questo, tutto si concatenava senza difficoltà. È arrivato Philippe Vandel e mi ha consegnato il premio. Philippe è un amico e un grande professionista che io rispetto. Più tardi, da Castel, faccio la prova del mio nuovo status. Dovunque attorno a me tutti ballano o chiacchierano. Sono seduto su un divanetto, con le mani tranquillamente posate sulle ginocchia. Ciascuno può avvicinarsi a me, toccarmi o parlarmi; non c’è problema. Per ciascuno avrò una parola gentile, corrispondente alla sua posizione. Mi troveranno molto semplice pur sapendo, beninteso, che le cose non si spingeranno oltre. Insomma, sarà un po’ come la mia vita di prima, ma con più calma. Poco dopo mi eclisso molto discretamente, in mia assenza la festa continuerà meglio.