la Repubblica, 19 novembre 2019
Si ferma anche Volkswagen
«I momenti più belli della festa sono alle nostre spalle»: ieri il direttore finanziario di Volkswagen, Frank Witter, ha fotografato così il clima che si respira nel più grande gruppo automobilistico del mondo. L’industria trainante della Germania è stretta tra una pesante crisi congiunturale e un cambio di paradigma epocale. E l’allarme di Witter, accompagnato da un cosiddetto “profit warning”, l’annuncio che incassi e vendite nei prossimi anni di VW saranno meno ambiziosi del previsto, ha scatenato un’ondata di vendite sui listini. Il titolo ha perso il 3,3% sul Dax di Francoforte, trascinando giù tutto il settore. A Milano, Fca ha lasciato sul terreno il 2,3%.
Per il 2020 l’utile operativo era previsto in crescita del 30% dai 14,6 miliardi del 2016: un boom che Volkswagen ha ora ridimensionato al 25% e che si fermerà dunque a circa 19 miliardi. Di conseguenza anche l’utile pre-tasse è stato riscritto da una stima di crescita del 40% in cinque anni al 30%, quindi a 15 miliardi di euro. Le vendite si limiteranno a salire del 20% contro il 25% stimato in precedenza. Nel 2016 il gruppo di Wolfsburg aveva incassato un fatturato di circa 217 miliardi di euro: sulla base del “profit warning”, l’anno prossimo ammonterà a 261 miliardi di euro.
Il rallentamento della Cina, le guerre commerciali sulle due sponde del Pacifico e la prospettiva di una Brexit sono gli elementi di maggiore freno. In questo, l’auto soffre gli stessi mali della Germania, che la scorsa settimana ha fatto sapere di aver scongiurato per un pelo una recessione tecnica ma di continuare a subire un rallentamento del ciclo prevalentemente importato, dovuto a fattori esogeni. Secondo uno studio di Credit Suisse pubblicato nei giorni scorsi, la Germania sarebbe ridiventata addirittura “il malato d’Europa”, la definizione che l’ Economist le affibbiò all’inizio degli anni Duemila, prima delle severe riforme del welfare dell’Agenda 2010. «Le tensioni commerciali sono una sfida per l’economia tedesca», secondo gli analisti svizzeri. Una volta il mostruoso surplus della sua bilancia commerciale era la forza trainante dell’economia tedesca. Ora che la globalizzazione è entrata in crisi e in Cina si aprendo una fisiologica fase di ridimensionamento dopo decenni di crescita al galoppo, l’export «è diventato un’enorme zavorra», per la Germania.
In realtà, appena un paio di settimane fa Volkswagen aveva riscritto in meglio i numeri dei primi nove mesi dell’anno, annunciando un boom del 43% negli utili tra gennaio e settembre, pur mettendo in guardia dagli scenari futuri. Allora era stato sempre Witter a mettere in guardia dai rischi «che arrivano dalle tendenze protezioniste». Il settore trainante dell’industria tedesca continua a stare col fiato in sospeso in attesa che Donald Trump decida se infliggere o meno al comparto europeo un pesantissimo dazio del 25%.
Gli interrogativi sul futuro di Vw dipendono anche da altre due questioni: i limiti più severi alle emissioni di Co2 imposti dalla Commissione europea e la svolta verso l’energia elettrica. Neanche a dirlo, le due cose sono legate e Vw è anche fresca dell’annuncio di una svolta ambiziosa verso le energie pulite.Sulle emissioni di scarichi tossici è intervenuto ieri l’amministratore delegato, Herbert Diess, dicendosi fiducioso che Vw riuscirà a rispettare i nuovi limiti di Co2 imposti da Bruxelles. «Abbiamo il miglior piano in merito e non pagheremo multe», ha puntualizzato. Anche grazie all’aumento della quota elettrica, che dovrebbe salire dal 4 all’8%, in sostanza raddoppiare, tra l’anno prossimo e il 2021.