Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  novembre 19 Martedì calendario

Conformisti di ieri e di oggi

Sommersi dall’alluvione di indispensabili novità narrative, fa piacere constatare che c’è un’editoria che continua a proporre alcuni scrittori del Novecento a rischio naufragio, cioè oblio. Un atto di resistenza non trascurabile. È un problema enorme il vorticoso turnover in libreria, perché finisce per annientare il nuovo e il vecchio, il cattivo e il buono in un unico gigantesco macero (prima mentale che fisico) privo di senso in un Paese che legge sempre meno. E nella notte presente in cui tutti i gatti sono grigi, sarebbe dovere della critica ricordare ogni tanto, come invitava a fare Giovanni Raboni, «quali sono e dove sono i valori», a costo di apparire insopportabilmente noiosi. Giani Stuparich, chi era costui? Era uno scrittore triestino (1891-1961), di cui Quodlibet ristampa un delicato racconto del 1941 «toccato dalla grazia» (Claudio Magris dixit): si intitola L’isola e narra il ritorno di un figlio, con il padre malato e vicino alla morte, nell’isola di Lussino, sull’Adriatico. E poi altri: Tommaso Landolfi (i suoi elzeviri spesso tenebrosi sono raccolti nel volume Del meno edito da Adelphi), Alberto Moravia (i saggi, limpidi esattamente all’opposto di quelli landolfiani, pubblicati da Bompiani con il titolo L’uomo come fine), Guido Piovene (Le furie è una specie di spietato, bellissimo, romanzo-confessione…), infine Mario Soldati, che viene rilanciato sempre da Bompiani con vari titoli, tra cui, ultimo, Le due città. Un romanzo del 1964 che, come dice Piero Gelli nella Prefazione, fa il paio con Il conformista di Moravia (1951): ambedue raccontano dall’interno il fascismo e lo raccontano attraverso due protagonisti che «si somigliano nella rinuncia, nel desiderio di adeguarsi». Due uomini senza qualità, italiani opportunisti e irresoluti che non piacquero tanto alla critica, severissima nell’accogliere i due romanzi. Severità che, a ripensarci, fa impressione oggi, nel generale clima di abbraccio acritico, così benevolo e indiscriminato (a volte entusiastico), dell’esistente. Ma è Soldati, più di chiunque altro, il simbolo dell’ingiustizia della storia (letteraria): incredibile che non sia ancora collocato ai vertici uno scrittore del suo talento fluviale, lieve e ambiguo, capace di scavare nel fondo del carattere italiano. Lo stesso che l’ha tanto amato da vivo e rapidamente scaricato da morto. Conformista ieri e conformista oggi.