Michela Tamburrino per “la Stampa”, 18 novembre 2019
I CINQUESTELLE NE AZZECCANO UNA: "VIA IL CANONE RAI. L'OBIETTIVO È DI EQUIPARARE LA TV PUBBLICA A QUELLE PRIVATE CON ACCESSO LIBERO ALLA PUBBLICITÀ SENZA I LIMITI IN VIGORE OGGI. NON POSSIAMO PIÙ FINANZIARE I MAXI STIPENDI CON I SOLDI DEI CITTADINI” - ANCHE IL PIDDINO BOCCIA ATTACCA: “IL CANONE TV È ANACRONISTICO IN EPOCA DIGITALE. SERVE UNA RIFLESSIONE SULLA CRISI DELLE TV LOCALI CAUSATA ANCHE DAGLI ASSETTI POLVEROSI DEL VECCHIO SISTEMA TELEVISIVO…” -
Il canone televisivo al centro di una polemica accesa. All' attacco Pd, Italia Viva e soprattutto i Cinquestelle. A dare il via all' attacco la deputata pentastellata Maria Laura Paxia, membro della commissione di Vigilanza Rai, che ha depositato alla Camera un testo definitivo della sua proposta di legge. «L'obiettivo è di equiparare la Rai alle televisioni private. Niente canone ma accesso libero alla pubblicità senza i limiti in vigore oggi. Ritengo giusto che l' Azienda pubblica punti sulla qualità del servizio non potendo più finanziare i maxi stipendi con i soldi dei cittadini».
E ancora: «La mia proposta di legge modificherebbe anche il finanziamento del servizio pubblico andando a sostituire il canone con un gettito, che possa consentire alla Rai di avere un bilancio e di lavorare bene. Finanziamento gestito dal Mise e dal Ministero delle Economie e Finanze».
Una proposta bocciata dal consigliere indipendente del Cda Rai, Riccardo Laganà, esperto in materia. «Impraticabile sotto vari aspetti. Il primo: inserendo il sostegno alla Rai nella fiscalità generale la si renderebbe dipendente dai governi di turno, asservita alle decisioni politiche e loro strumento di propaganda. Il canone certo è garanzia di indipendenza economica dunque politica. Ancora: togliendo il tetto pubblicitario alla Rai, come da proposta Paxia, si andrebbe a massacrare tutto il mercato, da Mediaset in giù.
Oggi la Rai ha limiti molto rigidi nella raccolta pubblicitaria e di gran lunga inferiori a tutte le emittenti private. Senza tetto e forte di un'offerta ancora leader nell' audience, si andrebbe ad erodere risorse agli altri operatori del settore televisivo, radiofonico e della carta stampata, impoverendo così il mercato delle piccole emittenti e dei diretti concorrenti con una crisi del settore enorme che significa meno investimenti, più disoccupazione».
Alla Rai dei 90 euro del canone, tra tasse e prelievi governativi, arrivano meno di 75 euro, circa 6 euro mensili a cittadino. «Gestiamo - ricorda Laganà - tredicimila dipendenti e abbiamo un indotto creativo e culturale che ne vale il doppio. Così come prospetta il testo Paxia, lo andremmo a inficiare. Una proposta populista e incosciente».
IL FRONTE I Cinquestelle non sono soli. C' è anche il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, che attacca il canone tv definendolo anacronistico in epoca digitale: «Serve una riflessione seria sulla crisi in atto delle tv locali causata anche dagli assetti polverosi del vecchio sistema televisivo». Pure il deputato di Italia Viva Michele Anzaldi, membro della commissione di vigilanza Rai, ha avviato una petizione su Change.org per la riduzione del canone. Risponde sempre Laganà. «Secondo dati Ebu, l' associazione dei broadcaster europei, a partire dall' intervento di Renzi sul canone del 2014, la Rai risulta essere quella che ha subito più tagli. E ritengo ci siano dei margini di incostituzionalità circa la distrazione dei fondi del canone pagato dai cittadini per altri scopi sui quali ricorrere».
Per l' ad della Rai Fabrizio Salini intervenire sul canone è una proposta irricevibile: «Chiedo solo che alla Rai venga dato ciò che è della Rai. Abbiamo azzerato l' evasione con il canone in bolletta, eppure come introiti siamo ai livelli del 2013 quando l' evasione era al 30%. Tutto questo per la riduzione dell' importo sul canone a 90 euro e perché alla Rai sono stati tolti 100 milioni dell' extra gettito e un 5% forfettari. All' azienda pubblica arriva un euro su due di quelli recuperati all' evasione».