Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  novembre 18 Lunedì calendario

Il portaborse in nero, una pratica diffusa

C’è un buco nero, da sempre, nel Parlamento italiano. Una falla che nessuno, finora, ha però voluto colmare. Ma dopo il caso clamoroso di Antonello Nicosia, l’assistente parlamentare che entrava in carcere con il tesserino della Camera per tenere rapporti, dicono le intercettazioni, con i boss mafiosi detenuti al 41 bis, questa storia rischia di deflagrare già nei prossimi giorni al Senato durante la discussione sul bilancio interno. Dove si prepara una battaglia a colpi di ordini del giorno.
La deputata di Italia Viva Giuseppina Occhionero ha raccontato ai magistrati che le chiedevano chiarimenti, secondo quanto riferisce il giornale online agrigentino Grandangolo, che il regolare contratto da lei stipulato con l’ormai ex collaboratore Nicosia prevedeva una retribuzione di 50 euro al mese. Per quanto possa sembrare incredibile, cinquanta euro sono dunque sufficienti per avere un tesserino che consente che di circolare liberamente negli uffici del parlamento e magari fare una capatina nelle carceri di massima sicurezza. Senza alcun controllo. Possibile?
Proprio così. Gli incarichi ai collaboratori sono strettamente fiduciari, com’è giusto che sia. Ma in Italia i contratti sono gestiti personalmente dai deputati e dai senatori, contrariamente a quanto avviene altrove. A Strasburgo, per esempio, gli europarlamentari nominano all’inizio del mandato i propri collaboratori ma è poi l’amministrazione che fa i contratti e paga gli stipendi. Con tutte le garanzie del caso, ovvio. Da noi, invece, deputati e senatori provvedono direttamente anche a retribuire gli assistenti, ma senza alcun obbligo particolare. E le amministrazioni di Montecitorio e Palazzo Madama sono sollevate da qualunque tipo di responsabilità contrattuale come pure da ogni controllo. Per avere il tesserino alla Camera è sufficientedepositare un contratto almeno annuale: di qualunque importo, come sta a dimostrare il caso Nicosia. Al Senato invece è stato fissato per regolamento un limite minimo di 375 euro al mese. Lordi, s’intende.
Ed è chiaro che in condizioni del genere si possono produrre situazioni di ogni tipo. La storia è vecchia. Nel 2007 le Iene scoprirono che su 683 collaboratori parlamentari appena 54 avevano un regolare contratto. Ma da allora è cambiato poco o nulla. Basta dire che alla fine della legislatura spirata nel 2018 si contavano soltanto al Senato, oltre a 44 contratti co.co.co. (una formula abolita ormai da anni), 43 consulenze con partita Iva e 11 non meglio precisate “prestazioni occasionali”. Mentre a una domanda di Report a proposito del numero dei collaboratori ufficialmente registrati alla Camera il presidente Roberto Fico ha risposto qualche mese fa: «Circa 400». Solo quattrocento per 630 deputati? Certo, c’è anche un partito, la Lega di Matteo Salvini, i cui parlamentari fanno addirittura a meno di collaboratori personali.
Ma di tutto questo non ne può non risentire la stessa attività del Parlamento. Un deputato che non ha uno staff adeguato non farà bene il proprio lavoro. Per questa ragione il parlamento britannico stanzia per i collaboratori di ogni eletto l’equivalente di 14 mila euro e quello tedesco 15.798. L’Europarlamento addirittura 21.209: da cinque a sei volte le somme assegnate ai nostri deputati e senatori.
Però la verità è che questo nostro sistema apparentemente meno dispendionso, libera un sacco di risorse soprattutto per i partiti sempre più poveri. E proprio a scapito della qualità del lavoro parlamentare, evidentemente sempre meno importante. Per pagare i collaboratori ogni deputato può contare su 3.690 euro al mese, che salgono a 4.180 per i senatori. Ma solo metà della somma va rendicontata. Ne consegue che ogni deputato e senatore dispone rispettivamente di 22 mila e 25 mila euro l’anno esentasse, di cui non deve giustificare l’utilizzo, magari pronti per essere girati al partito: beneficiando in più di una detrazione del 26 per cento. Non sono pochi soldi. Parliamo di 8 milioni al Senato e 14 alla Camera pronti a evaporare. Ecco spiegato perché nessuno ha mai voluto mettere mano a uno stato di cose semplicemente scandaloso per il parlamento, che dovrebbe essere il tempio della legalità.
«Oggi esistiamo solo come tesserini da autorizzare, non abbiamo statuto professionale, né una voce di bilancio autonoma. Ma neppure un codice di condotta, ed è inaccettabile», denuncia José De Falco, il presidente dell’associazione dei collaboratori.
Ma nessun effetto hanno avuto, finora, i propositi di Fico espressi in diversi incontri proprio con i rappresentanti di quell’associazione. Né le pressioni di alcuni parlamentari, come Riccardo Magi di +Europa, che si è visto bocciare ripetutamente, l’ultima volta pochi giorni fa, gli ordini del giorno presentati per approdare a una situazione più civile. I costi sono la scusa dietro a cui il palazzo si è sempre nascosto. Nel 2018 il collegio dei questori aveva calcolato che la Camera avrebbe dovuto sopportare un costo fra 6 e 8 milioni l’anno se avesse avuto l’incombenza di gestire direttamente, ma sempre con quei denari oggi assegnati ai parlamentari, contratti regolari con retribuzioni fino a 1.500 euro netti al mese. Troppo, era stata la conclusione. Troppo, per un bilancio di 943 milioni l’anno e 450 milioni spesi fra stipendi e pensioni del personale. Troppo. Eppure il taglio dei vitalizi agli ex parlamentari avrebbe fatto risparmiare (Fico dixit) 44 milioni l’anno: se è così, meno del 20 per cento di quella somma basterebbe per mettere in regola qualche centinaio di ragazzi e tenere il parlamento al riparo da altri casi come quello di Nicosia.
E non si può fare a meno di notare che mentre c’è chi annaspa nel precariato, la Camera dove si è appena deciso di ridurre da 630 a 400 i deputati ha deciso di bandire un concorso per assumere 30 nuovi consiglieri parlamentari.