La Stampa, 18 novembre 2019
Il braccio della discordia sul ponte di Brooklyn
Un dito puntato verso l’alto compare davanti al ponte di Brooklyn, New York, e ovviamente nessuno guarda il cielo e tutti si scannano sul significato dell’indice gigante.
La scultura evoca la statua della libertà: è un braccio alto sette metri pensato da Hank Willis Thomas, artista che ha osservato per anni il fisico dei cestisti afroamericani e ci ha costruito sopra una carriera. Il braccio in questione è atletico, muscoloso, perfetto: potrebbe tendere verso il meglio, guardare l’orizzonte, celebrare, come sempre, il sogno a stelle e strisce, ma siamo nel 2019 e qualsiasi novità divide, pure un pezzo di arte pubblica che si chiama «Unity». Quelli di Manhattan trovano il gesto provocatorio, come se Brooklyn si considerasse un distretto più importante e a Brooklyn lo considerano socialmente discutibile perché potrebbe celebrare il quartiere diventato ricco, dinamico, con proprietà che hanno triplicato il valore. Un complotto contro la vera natura della zona, fatta di multiculturalismo e diversità. C’è persino qualcuno che interpreta il lavoro come un criptato messaggio islamico. E tanti ci trovano l’idea latente della supremazia nera. Pensare che l’enorme braccio doveva portare un nome ben più controverso: «We’re No. #1». E il primato non stava per un numero civico sopra un altro, una razza, o un popolo definiti migliori in base a chissà quale classifica, era un inno all’uomo, capace di qualsiasi cosa. Pure di cambiare Paese e ricominciare, di superare brutali crisi economiche, di reinventarsi. Ma no, neanche ridurre il battesimo a un concetto più semplice ha placato animi predisposti alla faida.
Non è certo il primo arto gigante in circolazione: Parigi ha la manona di Koons che regge 11 tulipani, appena sfregiata, Londra ha il pollicione fuori misura piazzato a Trafalgar Square e diventato subito simbolo della comunità anti Brexit. Anche le statue prendono una parte, almeno nella testa di chi guarda senza più riuscire ad andare oltre il dito. Forse «Unity» è un totem.