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 2019  novembre 18 Lunedì calendario

Il pasticcio italiano delle cavie animali

Novantasette su 109 Premi Nobel per la Medicina e la Fisiologia (inclusi tutti quelli degli ultimi trent’anni) sono stati assegnati alle scoperte che hanno richiesto l’impiego di animali. E secondo la stragrande maggioranza degli scienziati e dei ricercatori senza la sperimentazione animale non si sarebbero potuti raggiungere i progressi medici che hanno consentito rivoluzioni come i trapianti di organi, lo studio e la cura delle patologie cardiovascolari, del diabete e la nascita di tutti i nuovi farmaci. Con la speranza, un domani non troppo lontano, di poter arrivare a guarire lesioni spinali e danni cerebrali. Eppure mai come oggi la sperimentazione sugli animali divide l’opinione pubblica. E, almeno in Italia, è a rischio.
La battaglia delle fake news
Messa in mora da vere e proprie campagne denigratorie che coinvolgono il mondo animalista, da sempre legittimamente contrario ai test di laboratorio, e frange sempre più estremiste che sono arrivate ad augurare la morte ad alcuni degli scienziati che si "ostinano" a fare test sugli animali. Il primo caso è stato quello di Marco Tamietto, minacciato di morte, destinatario di un proiettile, e persino aggredito per strada. Episodi presi tanto sul serio dalla Digos che lo ha messo sotto osservazione. Il professore è nel mirino per la sperimentazione che l’Università di Torino sta portando avanti con quella di Parma.
Una ricerca sulla corteccia visiva che coinvolge sei macachi. Il Tar del Lazio a inizio novembre ha respinto la richiesta di sospensiva presentata dalla Lav. Gli animalisti, secondo i giudici, non hanno prova dell’esistenza di metodi ricerca alternativi. E per il Tar «la salute umana resta prevalente». La Lav ha già fatto sapere che ricorrerà al Consiglio di Stato. E aggressioni hanno subito nelle ultime settimane anche ricercatori di Ferrara e Verona. E proprio il professor Tamietto, ordinario di neuroscienze del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino è il primo firmatario con il professor Luca Bonini dell’appello che in pochi giorni ha raccolto più di 20 mila firme in rete, sottoscritto da 4 mila scienziati. Un manifesto che sarà consegnato al ministro della Salute, Roberto Speranza e a quello dell’Università, Lorenzo Fioramonti. «Salviamo la ricerca biomedica», è l’appello del gotha della ricerca, messa a rischio da fake news e animalisti che vorrebbero abolire la sperimentazione sugli animali in laboratorio, malgrado il nostro Paese abbia già la normativa più severa in Europa.
La procedura d’infrazione
Il rischio è che l’Italia sia molto presto tagliata fuori da progetti e finanziamenti europei. Provocando un nuovo esodo di cervelli verso le capitali dove è rispettata la direttiva europea sulla sperimentazioni. La deadline è fissata per la fine dell’anno, quando entrerà in vigore lo stop dell’uso delle cavie per i test tossicologici. Gli effetti di alcol, droghe e tabacco non saranno testati sugli animali. Un successo della campagna della Lav appena rilanciata con manifestazioni a fine ottobre in seicento città.
Gli scienziati chiedono al governo di rinviare l’entrata in vigore della normativa per non penalizzare la ricerca medica. Le leggi italiane sono le più severe in Europa. Tanto che sull’Italia penderebbe una procedura di infrazione della commissione Ue per aver disatteso la direttiva comunitaria. «Ci sono almeno due elementi che preoccupano il mondo della ricerca: uno è il clima che sta montando nel paese di minaccia continua. A Ferrara il collega Fadiga ha trovato scritto davanti al suo laboratorio "assassino, ti bruciamo i laboratori", a Parma Bonini ha rinvenuto un cartello con la scritta "boia, vivisezionista". Tutti episodi inquadrati un mese fa nell’intervento al Senato della senatrice Elena Cattaneo.
Si respira aria di intolleranza, disinformazione e violenza: i ricercatori sono individuati come obiettivi da contrastare e colpire non come persone che operano per la conoscenza e la salute collettiva e secondo procedure autorizzate dal ministero della Salute», spiega Tamietto. « L’altro aspetto è legislativo: a fine anno potrebbe scattare una procedura europea di infrazione contro il nostro Paese perché non abbiamo recepito la direttiva numero 63 del 2010 sulla sperimentazione animale, nata dopo anni di discussione in cui sono state coinvolte le associazioni animaliste. L’Italia l’ha recepita malamente nel 2014 inserendo alcuni divieti e molti paletti. Poi procrastinati grazie a una moratoria che scadrà il 31 dicembre.
Dal 1° gennaio dunque noi non potremo più fare ricerca sui trapianti di organi». Il rischio, concreto, è che l’Italia pur avendo le competenze per essere all’avanguardia nella ricerca non possa più sperimentare concretamente i risultati degli avanzamenti scientifici. Ci sono molte persone che hanno bisogno ma pochi donatori, per questo è necessario continuare le ricerche. E se in Italia non sarà possibile farle per i ricercatori nostrani basterà fare pochi chilometri per trovare ospitalità e assistenza in Francia, Svizzera e in Germania, tutti Paesi dove le possibilità della sperimentazione sono quelle fissate dalla direttiva Ue. «Noi per esempio abbiamo avuto dei finanziamenti della Unione europea per il nostro progetto, fondi che servono per far crescere giovani ricercatori, non siamo dei sadici e abbiamo a cuore la salute dell’animale che soffre molto di più negli allevamenti intensivi che in laboratorio. Se non sarà più possibile lavorare in Italia saremo costretti a fare 150 chilometri e ad andare a lavorare in Francia», avverte Tamietto. Il professore, ovviamente, non vuole fare le valige e così contribuire all’impoverimento scientifico del Paese.
90% delle cavie sono roditori
«Gli italiani stanno benissimo, se la cavano sempre, è l’Italia che sta messa male», dice, citando Indro Montanelli. Per il sistema Italia, secondo i ventimila firmatari del manifesto Research4life, saremmo alla vigilia di una catastrofe annunciata. Già fanalino di coda nella Unione per i fondi destinati a ricerca, Università e Scuola, poco più dell’1% del prodotto interno lordo contro il 3% di media europea, il nostro Paese si troverà a dover rinunciare ai fondi destinati dall’Unione. E sarà tagliata fuori anche dai progetti di lavoro collettivi che coinvolgono le Università straniere. Incrociando i dati del ministero della Salute, dell’Istat e di Legambiente emerge che un animale ogni mille viene impiegato in laboratori. Gli ultimi dati registrano un totale di 581.935 animali utilizzati, con un calo del 15%. In Germania sono quasi tre milioni, in Francia un milione e ottocentomila. In Europa solo la Gran Bretagna registra un incremento degli animali utilizzati per la sperimentazione, oggi sopra i 4 milioni.
Il mondo accademico assicura che gli animali soffrono molto meno rispetto a quanti nascono e vivono brevemente negli allevamenti intensivi. Animali come conigli e suini sono sottoposti a cure e tutele largamente superiori rispetto a quanti allevati per scopi alimentari, giurano. I roditori, eliminati in quanto specie infestante, nelle nostre città, rappresentano il 90% degli animali utilizzati nella ricerca, dove sono tutelati da rigide normative. L’impiego degli animali per la sperimentazione è delicato, costoso e strettamente controllato dalle autorità competenti e viene vietato ogni qual volta esistano validi motivi alternativi. La comunità scientifica internazionale continua però a ritenere imprescindibile l’uso degli animali in molti settori di ricerca come gli studi sul cervello, sulle dipendenze patologiche e sui trapianti.
Il compromesso impossibile
Su questa materia non c’è verso di trovare una soluzione di compromesso. Le associazioni animaliste, restano fieramente contrarie all’utilizzo di cavie e animali in laboratorio. E non accettano di passare per lobby che difendono i loro beniamini contro l’interesse dell’uomo.
La Lav, la lega anti-vivisezione, ci tiene a precisare di non essere contro la ricerca in quanto tale. E ricorda il successo della campagna contro l’utilizzo degli animali per i test cosmetologici, conclusasi dieci anni fa con la fine della sperimentazione. «Gli scienziati non sono dei sadici e sarebbero ben felici di risparmiare gli animali, ci sono delle fondate speranze per l’utilizzo degli organoidi ma purtroppo per ora la sperimentazione animale è insostituibile», dice Girolamo Sirchia, pioniere molti anni fa dei trapianti. «Ovviamente gli esperimenti devono essere condotti in centri di ricerca adeguati, con le dovute cautele, e secondo regole etiche ammissibili a livello internazionale: la sperimentazione non deve mai essere una strage di animali ma abolire questi test provocherebbe un disastro nell’utilizzo di alcune terapie e farmaci salva vita». Per Sirchia oggi è più che mai necessario mettere ordine nella materia. Per evitare sprechi e doppioni. Bisogna creare, rendere operativa, un’Agenzia della ricerca che metta insieme il pubblico e il privato per non buttare via le già scarse risorse con le quali fare i conti. «E’ urgente rilanciare l’investimento pubblico nella ricerca e cambiare il modo di usare i fondi. Quanto alle feroci campagne contro gli scienziati e i loro test Sirchia ricorda che i pionieri dei trapianti furono costretti a subire attacchi feroci».
«No ai deprivatori di organi», era lo slogan degli anni novanta che lanciava ombre sui chirurghi all’avanguardia. Oggi l’asticella dell’odio si è alzata, anche grazie alle fake news che circolano in rete. Episodi scandalosi. «Sono un pubblico ufficiale, un dipendente del ministero della Salute e dell’Università, eppure nessuno ha sentito la necessità di convocarmi, finora ho avuto solo una nota di solidarietà dell’ex ministro Grillo», ricorda. «La politica dovrebbe avere più coraggio e non solo seguire l’onda emozionale dell’opinione pubblica», dice Sirchia, lamentando la continua decrescita («negli ultimi vent’anni e con governi di tutti i colori») degli investimenti in istruzione e ricerca. Nel futuro insomma. Il professore è però anche autocritico: non gli piace l’eccesso di protagonismo che ha contagiato il mondo scientifico.