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 2019  novembre 17 Domenica calendario

Sul Memoriale veneto della Grande guerra

«La Grande guerra non è mai veramente finita»: la frase, nata dall’estro di quel polemista di professione che fu Guido Ceronetti, è il nucleo del MeVe, il Memoriale veneto della Grande guerra di Biadene di Montebelluna (Treviso). Ma serviva un altro museo per ricordare il primo conflitto mondiale, ora poi che il centenario è passato? Sì, se si parte proprio dalla certezza di Ceronetti. «Il nostro mondo è conseguenza di quel conflitto; in quegli anni furono usate tecnologie che, evolute, sono il nostro oggi – spiega la direttrice Monica Celi – e inoltre abbiamo immaginato il Memoriale come punto di arrivo o di partenza delle decine di itinerari sui luoghi della Grande guerra che si dipanano da Montebelluna». 
Villa Correr Pisani, sede del MeVe, è ai piedi del Montello, laddove tanta guerra è passata, a Nervesa della Battaglia, a Giavera e a Crocetta del Montello, epicentro perfetto per una moderna visione della Grande guerra. Fu Anzolo Correr, ricco ambasciatore della Serenissima e amante del bello, a volere la villa, secondo gli stilemi delle ville venete. Chiama anche un giovanissimo Giambattista Tiepolo per affrescare la vicina chiesa di Biadene. Dopo di lui altre famiglie e qualche nobile decaduto, fino a quando inizia la vita tumultuosa della villa: orfanotrofio, ospedale militare, luogo di comando, seminario, scuola con i Padri della Consolata che conservano ma fanno coprire certe curve troppo osé degli affreschi. Il patrimonio architettonico c’è, basta ristrutturarlo per dare spazio all’idea di Memoriale di Marzio Favero, filosofo, cultore della materia e attuale sindaco di Montebelluna: fare memoria di milioni di morti e demistificare la retorica costruita per coprire la natura della prima guerra tecnologica dell’età moderna che ha cambiato per sempre il concetto millenario dell’arte della guerra.
In due anni, con tempi inimmaginabili in questa scalcagnata Italia, la villa ritrova la sua luce, gli affreschi la loro freschezza. L’investimento è importante, 5,5 milioni di euro, e la sede è pronta. Resta l’allestimento, nato dalla collaborazione fra comitato scientifico, storici locali, confronto con le più importanti realtà europee, fra cui il Memorial di Caen in Normandia, corpi d’arma, mondo universitario (Padova e Iuav di Venezia, su tutti) e l’aiuto di tante aziende del territorio – questo è il distretto dell’abbigliamento sportivo – e di una decina di scuole che, nell’ambito dei progetti di alternanza scuola/lavoro, hanno fornito le traduzioni in inglese, tedesco e francese (adesso si sta lavorando a quelle in russo e cinese), hanno realizzato la mappa tattile e le audioguide per i non vedenti. 
Così, oggi, il Memoriale si presenta come luogo di interpretazione di quelle atrocità del Novecento. La guerra è letta per temi: i grandi imperi che si armano, le dichiarazioni di guerra, la vita di trincea, la guerra per terra, per mare e per aria, i soldati, i generali, i profughi, la propaganda, l’informazione, gli ospedali militari, i trattati di pace. Pochi gli oggetti d’epoca in bacheca, infiniti i materiali audio e video (in tutto il museo ci sono 4 ore di girato d’epoca), tante le installazioni più potenti di mille parole, come quella che rappresenta la vita di trincea, l’attesa, il freddo. Una stanza buia, con video dei cieli che si illuminano con i bombardamenti e con un frastuono che distrugge l’umano pensiero. E tante citazioni, tutti sentimenti vivissimi, da diari di guerra o anche giornali d’epoca per ricordarci – come scrive Luigi Einaudi – che nella nuova Europa ha futuro sono una federazione di Stati.
Il MeVe è un luogo di interpretazione, è una raccolta moderna che attualizza la Grande guerra, la porta nel nostro quotidiano, non solo per le invenzioni che fecero quella guerra (telefono da campo, orologio da polso, le garze) arrivate fino a noi. Ha la potenza, la genuinità di un luogo contemporaneo che avrà lunga vita, che può parlare al ragazzino (molti i percorsi specifici destinati alle scuole) e al nonno, che può spiegare le condizioni di Montebelluna nel 1915-’18 e quelle del mondo. Con i temi del Memoriale che diventano qualcosa di fisico perché l’alternarsi delle stanze, fra buio e affreschi pieni di luce, ha qualcosa di carnale, che si insinua sotto pelle. Non sono solo pensieri le violenze, i 10 milioni di morti, le armi, la fame: li vedi, li senti. «Questo spazio, fatto di luci e ombre, è come l’animo umano – ricorda la direttrice -. Da un lato la grande bellezza della villa con i suoi affreschi, le sue porte in radica, gli stucchi, dall’altra i grandi orrori della guerra, con i due scaloni che portano al primo piano e che raccontano il precipitare dell’uomo nei totalitarismi».
I colori dell’autunno danzano oltre le grandi finestre della villa, danno dolcezza ai declivi del Montello, carichi di morte e sofferenza, ma il Memoriale, che da oggi ospiterà anche la rassegna Edison, l’uomo che inventò il futuro con decine di oggetti originali provenienti da una collezione privata, ci ricorda che la guerra è una spirale infernale in cui perdono tutti, come ricorda lo scrittore francese, Henri Barbusse: «La guerra propone a dismisura volti putrefatti, corpi squarciati e cadaveri tutti diversi l’uno dall’altro, che tutti sprofondano nella terra ingorda. Questa è la guerra, una miseria, una serie di miserie interminabili e monotone, solo interrotta da selvagge tragedie: questa è la guerra e non la baionetta che brilla come l’argento e neanche il suono della tromba come canto del gallo nello splendore del sole».