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 2019  novembre 17 Domenica calendario

Le elezioni politiche del 17 novembre 1919

«Giornata elettorale calma ed ordinata in tutta Italia»: così il «Corriere della Sera» commentò il 17 novembre 1919 le votazioni che si erano svolte il giorno precedente per eleggere i deputati della XXV Legislatura. Le ultime elezioni politiche erano avvenute nell’autunno del 1913. Nell’attesa di conoscere il responso delle urne, il rilievo dato allo svolgimento calmo e ordinato delle votazioni rivelava un sospiro di sollievo, dopo settimane di campagna elettorale tumultuosa, al culmine di un anno di grave crisi economica, aumento del costo della vita, alta disoccupazione, agitazioni, scioperi, violenti conflitti sociali e politici in tutto il Paese. 
Per il giorno delle votazioni si temevano gravi incidenti, perché odi profondi dividevano le forze in lotta. Da una parte, gli interventisti – democratici, nazionalisti, fascisti, ex combattenti – i quali, con ideologie diverse, esaltavano la nazione e la vittoria, disprezzavano la classe dirigente liberale, osteggiavano i socialisti, e volevano rinnovare lo Stato con una nuova classe dirigente formata dai reduci. Sul fronte opposto erano i socialisti, intransigenti oppositori della guerra, che continuavano a condannare, dileggiando la vittoria e i reduci, mentre inneggiavano alla rivoluzione bolscevica e alla conquista violenta del potere per instaurare la dittatura del proletariato. Dal gennaio del 1919 c’era una nuova forza, il Partito popolare italiano, fondato dal sacerdote Luigi Sturzo con il consenso del Vaticano, per organizzare l’azione politica autonoma dei cattolici, con un programma di riforme democratiche, ispirate ai principi cristiani, contro il liberalismo, il socialismo e il nazionalismo. 
Irriducibilmente antagoniste, queste forze condividevano l’avversione per la vecchia classe dirigente, e reclamavano il suffragio universale maschile e femminile, lo scrutinio di lista, la rappresentanza proporzionale. In Italia vigeva dal 1891 il sistema maggioritario uninominale, rimasto immutato dopo la riforma elettorale del 1912, che aveva esteso il diritto di voto a tutti i maschi di oltre 30 anni, anche se analfabeti, e ai cittadini di età compresa fra i 21 e i 30 anni che sapessero leggere e scrivere o avessero compiuto il servizio militare. Gli elettori erano così aumentati da 2.930.473 nel 1909 a 8.672.249 nel 1913.
Il 16 dicembre 1918, il governo di Vittorio Emanuele Orlando aveva esteso il diritto di voto a tutti i combattenti, anche se non avevano compiuto 21 anni: gli elettori erano così aumentati a 11.115.441. Ma Orlando era contrario allo scrutinio di lista con la proporzionale, come contrari erano Giovanni Giolitti e altri conservatori, ritenendo che la nuova riforma avrebbe scardinato l’egemonia parlamentare liberale, basata sul sistema uninominale, mentre avrebbe avvantaggiato i partiti organizzati di massa, come il partito socialista e il partito popolare. La riforma proporzionale, presentata alla Camera il 6 marzo 1919 dal deputato socialista Filippo Turati, fu sostenuta da Francesco Saverio Nitti, succeduto a Orlando il 23 giugno, e approvata dal Parlamento il 31 luglio. La Camera fu sciolta il 30 settembre e le elezioni convocate per il 16 novembre. 
Le forze politiche si combatterono aspramente, conferendo alle nuove elezioni il valore di una scelta storica. Perciò tutti incitarono gli elettori alle urne. «Ci pare che colui il quale in un momento così grave della nostra vita pubblica non depone la propria scheda, compia un atto di vera diserzione civile e meriti il più profondo disprezzo di chi lo avvicina», ammonì il “Corriere della Sera”, esortando la borghesia a votare i candidati liberali. I quali, però, si presentarono con liste rivali di notabili locali. Invece il partito popolare partecipò con liste bloccate, rifiutando qualsiasi compromesso con i liberali, come era avvenuto invece nelle elezioni del 1913, perché, disse don Sturzo, bisognava sventare «gli accaparramenti dei voti, traffico vergognoso delle libere coscienze degli elettori. La presente lotta, che per il Partito popolare italiano segna il suo entrare aperto e franco nella vita politica del nostro paese, deve essere per noi la prima affermazione di sincerità, di lealtà e di correttezza elettorale. Così si acquista il diritto ad essere, e a farsi rispettare dagli avversari».
Con liste bloccate si presentò anche il partito socialista, incitando i militanti a votare perché le elezioni erano «il maggior episodio della lotta di classe, della lotta rivoluzionaria per l’avvento del comunismo»: di conseguenza, «ogni astensione è defezione, è astensione dalla lotta rivoluzionaria, è vigliaccheria dell’Esercito Rosso dinanzi alle orde mercenarie del capitalismo assassino». Chi non votava favoriva il capitalismo, cioè «nuove guerre, nuovi lutti, nuova miseria! I pigri, i viziosi, che per l’osteria o per il letto trascurano le urne non potranno che incolpare sé stessi quando, prossimamente, si troveranno in mezzo a nuove peggiori disgrazie, e dovranno patire nuove maggiori oppressioni». Anche Mussolini, il giorno delle votazioni, esortò gli elettori alle urne: «Nessuno diserti», scrisse su «Il Popolo d’Italia»: «Il dovere di oggi, per tutti i cittadini di tutti i partiti di tutte le idee è uno solo ed è semplice: andare alle urne! Chi si astiene è uno scemo, non un cittadino. Il voto d’oggi non è simile a quello d’altri tempi. Fra le elezioni generali odierne e quelle del 1913 c’è di mezzo la guerra mondiale e italiana. Dalla giornata d’oggi può desumersi chi ha il maggior diritto di avere totalmente o in parte la direzione della cosa pubblica. Chi vota per noi, vota per una profonda, saggia e progressiva rinnovazione dei nostri istituti politici ed economici, all’infuori e contro tutte le dittatura».
Non tutti gli elettori accolsero le esortazioni a votare. I votanti furono 5.793.507 pari al 56,6 per cento. Ma il responso delle urne fu clamoroso: il partito socialista conquistò il primo posto, triplicando i suoi deputati con 156 candidati eletti, seguito dal partito popolare che ne ottenne 100, mentre i liberali e i democratici ottennero 176 seggi, contro i 310 della precedente Camera. Con questi risultati, alla fine di un anno convulsionario, ruggente di apocalittici annunci di rivoluzioni violente, le elezioni politiche con la proporzionale produssero, in una giornata calma e ordinata, una rivoluzione pacifica, perché la vittoria dei partiti di massa pose fine all’egemonia politica che la classe dirigente liberale deteneva dal 1861. 
Nel secolo trascorso dalle elezioni del 1919, al sistema proporzionale è stata spesso attribuita la responsabilità di aver minato lo Stato liberale, favorendo così l’avvento del fascismo al potere. In realtà, se si fosse votato con il vecchio sistema maggioritario uninominale, i liberali avrebbero subito una sconfitta maggiore. Quanto al fascismo, nelle elezioni del 1919 la lista fascista ebbe poco più di 5000 voti e nessun eletto, tanto che Mussolini fu tentato di vendere il suo giornale e lasciare la politica. 
Cento anni fa, il 17 novembre, il futuro per gli italiani era pieno di incognite, anche per i vincitori delle elezioni. E nessuno decise quel giorno il destino dell’Italia.