Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  novembre 17 Domenica calendario

Il giro d’affari della Nba in Cina

La lega sportiva con maggiore appeal globale è in piena guerra fredda con quello che è diventato negli anni il suo principale mercato estero. Come se fosse una appendice della guerra dei dazi in atto tra Washington e Pechino da oltre un mese la Nba vive un rapporto per nulla cordiale con la Cina, con risvolti onerosi su entrambi i fronti.
Il giro d’affari cinese della lega si aggira sui 4 miliardi di dollari, ma non vanno dimenticate le singole partnership tra le aziende del Dragone e i giocatori di punta del campionato americano, messe a repentaglio da una vera e propria crisi diplomatica.
Il tweet pro Hong Kong
Tutto nasce da un tweet, pubblicato lo scorso 6 ottobre da Daryl Morey, general manager degli Houston Rockets, il quale ha mostrato la propria solidarietà nei confronti dei manifestanti di Hong Kong, che dallo scorso 31 marzo protestano in piazza contro le nuove leggi in materia di estradizione. 
La cancellazione del post da Twitter e le scuse del dirigente non hanno evitato un conflitto che dura ancora oggi, a distanza di oltre un mese dal tweet incriminato. La posizione di Adam Silver, commissioner della Nba, non ha aiutato a rasserenare gli animi: «Proteggeremo la libertà di parola dei nostri lavoratori». Con queste parole, il numero uno della lega professionistica americana si è schierato in favore del dirigente dei Rockets. La franchigia texana, però, può già fare la conta dei danni: i mancati introiti derivanti dagli sponsor cinesi sono stimati in circa 7 milioni di dollari annui.
Il fronte orientale
Non se la passano bene neanche in Cina, però. Questo clima di tensione ha aggravato la situazione già di per sé non esaltante del gigante del broadcasting Tencent. L’emittente online, giusto pochi mesi fa, ha siglato con la Nba un accordo valido fino alla stagione 2024/25, dal valore di 1,5 miliardi di dollari annui (pari a 1,37 miliardi di euro). Si tratta del contratto relativo alla cessione di diritti media più remunerativo per la Nba, tra quelli riguardanti i diritti esteri. Inoltre, il rinnovo firmato a luglio garantisce alla lega statunitense più del doppio rispetto a quanto previsto dal precedente contratto, che prevedeva una cifra pari a 700 milioni di dollari a stagione fino al 2020. Dopo un temuto stop delle trasmissioni (al punto che gli utenti hanno chiesto in massa un risarcimento) con l’embargo limitatosi solamente alle gare di pre-season, lo scorso 9 novembre è stata interrotta la diretta di Lakers-Heat a causa della presenza di uno spettatore sugli spalti con la bandiera taiwanese. Il gelo tra la Cina e la Nba, per Tencent, arriva in un periodo difficile: la trimestrale di settembre si è chiusa con un crollo degli utili del 13% rispetto all’esercizio precedente, pari a circa 2,9 miliardi di dollari.
Il giro d’affari della Nba 
Una fase di stallo che va avanti, senza che nessuna delle due parti faccia un passo indietro per trovare una soluzione. Difficilmente, però, questa situazione potrà protrarsi a lungo, anche perché gli interessi in ballo sono miliardari. La Nba, nel 2018, ha avuto un giro d’affari legato alle proprie attività in Cina pari a circa 4 miliardi di dollari (3,7 miliardi di euro), con diritti televisivi e merchandising in testa, ma anche con contratti di sponsorizzazione regionali che hanno portato i volti della pallacanestro americana a fare da testimonial a diverse aziende cinesi. Klay Thompson, guardia dei Golden State Warriors ha un accordo decennale con Anta, mentre l’ex cestista Dwyane Wade ha siglato un contratto a vita con Li-Ning. Non solo loro, però: Lebron James, stella dei Los Angeles Lakers, è l’unico giocatore Nba a superare la soglia degli 80 milioni di compensi annui proprio grazie alle sponsorizzazioni, alcune delle quali legate al mercato asiatico e più precisamente cinese. Lo stipendio di James è di “soli” 37,4 milioni per la stagione in corso, a cui aggiungere circa 50 milioni dagli sponsor. Il suo salario è il sesto della Nba, per quanto riguarda la stagione attuale. Stephen Curry, guardia dei Golden State Warriors, comanda la classifica con 40,2 milioni di stipendio (è attualmente fermo per infortunio, col rischio di saltare l’intera stagione). Alle sue spalle, Chris Paul degli Oklahoma City Thunder (38,5 milioni di dollari) e Russell Westbrook degli Houston Rockets (38,2 milioni di dollari). I texani hanno in organico anche il quarto giocatore più pagato della lega, James Harden, con uno stipendio da 37,8 milioni di dollari, a pari merito con John Wall degli Washington Wizards.
Sponsor cinesi 
Altri sponsor, come la Shanghai Pudong Development Bank o l’azienda tecnologica Vivo, hanno interrotto la partnership sia con la lega che con i propri testimonial, così come fatto dalla Cba, la federazione cestistica cinese. La Nba, inoltre, dà lavoro a circa 200 persone in Cina, avendo aperto due sedi internazionali (a Pechino e Shanghai) sulle cinque presenti in tutta l’Asia, a riprova di come il mercato cinese rappresenti per la lega americana un punto chiave della sua espansione globale. Un’altra sede, però, si trova proprio ad Hong Kong, vero e proprio pomo della discordia via social.
La Nba, per bocca del suo commissioner Silver, non intende andare contro un proprio dipendente per aver espresso un proprio pensiero. La Cina, dal canto suo, è ferma nel boicottaggio di quella che fino a poco tempo fa era la lega estera con maggior seguito in tutto il Paese, grazie anche all’influenza di Yao Ming, in passato stella dei Rockets e oggi presidente della federazione che ha deciso per prima di interrompere ogni legame con la Nba. Un legame miliardario, messo a rischio da un tweet.