La Lettura, 17 novembre 2019
Città galleggianti e corpi potenziati in mostra
Il futuro ha forme che non esistono ma, intanto, si possono mettere in mostra: ipotesi da museo. Per adesso, ad esempio, Oceanix City è solo un progetto che ai suoi ideatori, il gruppo Bjarke Ingels, è stato ispirato dagli obiettivi di sostenibilità dell’Onu: una città galleggiante sul mare da 10 mila persone, meglio dire forse una comunità, autosufficiente in tutto, comprese energia, risorse idriche, cibo, smaltimento dei rifiuti, praticamente un ecosistema artificiale su misura per l’uomo al tempo dell’innalzamento delle acque. Futuribile, ma plausibile. Se no, H.O.R.T.U.S. XL Astaxanthin.g del collettivo ecoLogicStudio: si usa un algoritmo per sviluppare la crescita di una forma organica modulare, nella quale vengono inseriti, «attraverso un bio-gel», dei «cianobatteri fotosintetici» il cui metabolismo «produce ossigeno e biomassa». Futuribile, ma chissà.
Il Mori Art Museum di Tokyo cerca di rendere visibile quello che ancora visibile non è. A tracciare le possibili traiettorie della realtà è un pool di curatori guidato da Nanjo Fumio, direttore del museo all’ultimo incarico prima del suo congedo dall’istituzione, a fine anno. La mostra Future and the Arts: AI, Robotics, Cities, Life. How Humanity Will Live Tomorrow («Il futuro e le arti: intelligenza artificiale, robotica, città, vita. Come l’umanità vivrà domani») aprirà martedì 19 novembre e chiuderà il 29 marzo; mette insieme oltre cento pezzi – oggetti, installazioni, progetti – che azzardano una mappa scandita in 5 momenti: urbanistica; architettura; design e lifestyle; ciò che si può definire transumanesimo (con le implicazioni etiche); infine «società e individui in trasformazione». «Proviamo a guardare a quel che accadrà fra 20 o 30 anni», dicono i curatori, e il loro percorso si candida a sradicare certezze e seminare inquietudini, suggerendo che l’arte possa indovinare il domani più della scienza.
Una sventagliata di ipotesi, come quelle al Mori Art Museum, ha più chance di cogliere un bersaglio rispetto al colpo secco. E un’esposizione che propone più scenari alternativi o coesistenti è, per sua natura, non dogmatica. Nanjo, intercettato da «la Lettura» mentre è ancora in corso una mostra di Chiharu Shiota, avverte: «Sull’impatto della tecnologia dell’intelligenza artificiale, a essere onesto, ho un’opinione né positiva né negativa. Ciò che conta è che tocca discuterne. Me ne sono reso conto ora: stiamo imparando delle cose ma anche a fare i conti con cambiamenti impetuosi».
Future and the Arts avvolgerà il visitatore accumulando suggestioni, al di là dell’effettiva portata scientifica delle opere. Eppure, le provocazioni della futurologia non sono un’esclusiva dei nostri giorni, il nostro presente potrebbe essere in fondo un futuro immaginato nel passato: «Sì, George Orwell in 1984 ha prefigurato qualcosa che somiglia ai nostri tempi, idem lo scrittore ceco Karel Capek. Precursori? Penso ad autori che hanno avuto una visione apocalittica del futuro. E citerei anche due scrittori giapponesi di fantascienza: i compianti Sakyo Komatsu e Shinichi Hoshi».
L’allestimento si chiuderà con un’installazione del collettivo artistico turco Ouchhh, Datamonolith, creata «con i dati più antichi del mondo, quelli recuperati nel sito archeologico di Göbekli Tepe, utilizzando un sistema di apprendimento automatico e algoritmi», dice il curatore. Tuttavia è l’ambiente precedente, il quarto (la stanza dedicata alla Human Augmentation and Ethical Issues), a toccare i temi più delicati. L’intervento sulla fisiologia e l’anatomia umane, ad esempio. «Una delle installazioni, Sugababe di Diemut Strebe, è essenzialmente il tentativo di ricreare – spiega Nanjo – l’orecchio sinistro di Vincent van Gogh. L’obiettivo qui non è soltanto mostrare fin dove arrivi la tecnica ma costringerci a pensare al grado di alterazione del corpo umano che possiamo permetterci. Ovvero quanto possiamo interferire col “territorio di Dio”».
Lavorare sulla tecnologia non implica che siano imminenti dispositivi giuridici per governare l’innovazione, per fronteggiare i paradossi e i quesiti che ci incalzano. Su questo fronte, l’umanità che immagina l’inimmaginabile è pronta? «Senz’altro – conclude Nanjo – non siamo pronti a questo lavoro di base, cioè a predisporre dei sistemi di regole, o almeno così mi sembra. Ma dobbiamo essere realistici: i cambiamenti avanzano rapidamente e non si fermeranno. Legalmente ed eticamente arranchiamo, rispetto al progresso tecnologico. Il diritto e la morale sono troppo lenti».