La Lettura, 17 novembre 2019
Il pomodoro era viola
Il colore viola genera spesso diffidenza: talvolta ostilità. Basti pensare alle melanzane, un ortaggio importato dall’Estremo Oriente che abbiamo tenuto come pianta decorativa per decenni anche a causa del colore. Il loro stesso nome deriva da tale repulsione: le abbiamo chiamate le mele insane. Qualcosa di simile deve essere accaduto a un altro ortaggio oggi simbolo della dieta mediterranea: il pomodoro, originario del Centro-Sud America. In origine la buccia aveva intense coloriture viola, poi la selezione fatta da qualche contadino per compiacere il nostro occhio diffidente ha privilegiato il rosso. Il processo si chiama domesticazione delle piante, fatto dai primi ignari coltivatori. Oggi grazie a una ricerca pubblicata da un gruppo del Sant’Anna di Pisa (Sara Colanero primo autore) abbiamo capito che quel viola che ci siamo persi per dar retta a qualche pregiudizio, erano dei preziosi antociani che cerchiamo di recuperare consumando piccoli frutti rossi nel migliore dei casi, se non con gli integratori alimentari. I pomodori coltivati non possono sintetizzare antociani, una classe di flavonoidi, per una mutazione genetica spontanea identificata sia dal gruppo italiano (guidato da Silvia Gonzali) sia da un gruppo concorrente cinese. Le lezioni da trarre sono diverse: non tutto quello che ci arriva da lontano è una minaccia; i colori scuri talvolta ci fanno molto bene; le nostre antiche tradizioni talvolta sono molto recenti; la biodiversità viene da mutazioni ereditarie e non tutta la biodiversità è da privilegiare; il nostro occhio e il nostro istinto non sempre sono buoni consiglieri: talvolta meglio ascoltare un genetista che un poeta.