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 2019  novembre 17 Domenica calendario

Il problema dell’Europa sul nucleare iraniano

Sul nucleare di Teheran e le proteste contro il caro-benzina in Iran, l’Europa è con le spalle al muro: deve accettare che gli iraniani violino gli accordi anti-nucleari conclusi a Vienna nel 2015 e continuare a polemizzare con Trump che da quel patto è uscito lo scorso anno, oppure è meglio che anche gli europei rispolverino le sanzioni allineandosi così con la Casa Bianca? Il dilemma è agli sgoccioli, e condizionerà non poco gli equilibri internazionali dei prossimi anni. Per comprenderne la portata e le conseguenze (ieri in Iran c’è stato il primo morto nelle proteste per il rincaro del carburante) è necessario ripercorrere una vicenda che da tempo avvelena i rapporti transatlantici. Nel maggio del 2018 Trump esce dagli accordi di Vienna (firmati da Obama) e lancia la «massima pressione» sanzionatoria contro l’Iran. Gli europei (la Francia, la Gran Bretagna e la Germania sono tra i contraenti) non lo seguono e promettono a Teheran di trovare compensazioni. Ma l’impegno non viene mantenuto, anche perché nessuno vuole perdere il mercato statunitense. A quel punto, affermando di aver atteso inutilmente un anno, sono gli iraniani a reagire violando a loro volta l’accordo. Cresce il numero delle centrifughe e cambia la loro alimentazione, poi riprende l’attività nucleare nel sito sotterraneo di Fordow. Il tasso di arricchimento dell’uranio, già salito al 5 per cento, dovrebbe passare al 20 per cento in gennaio, ancora lontano dal 90 per cento necessario per fare la Bomba ma già pericoloso. E l’economia intanto va a rotoli, l’aumento della benzina viene spiegato con la necessità di soccorrere i nuovi poveri. Cosa farà l’Europa trainata dai tre firmatari di Vienna? Può, a norma di accordo, chiedere all’Onu di ristabilire le sanzioni che erano state tolte nel 2015. L’Iran annegherebbe nel petrolio che non può esportare, malgrado l’aiuto cinese. Ma il vero quesito allora è: si può ancora evitare una guerra? E la vera risposta spetta a Trump.