Corriere della Sera, 17 novembre 2019
Biografia di Jimmy Garoppolo (giocatore di football)
Quando alla fine degli anni Ottanta Joe Montana dominava con i suoi 49ers la National Football League vincendo un Superbowl dopo l’altro, iniziò a circolare l’adagio: se un giorno Dio decidesse di giocare a football sceglierebbe la maglia di Montana. Oggi Joseph Clifford Montana Junior non è più una divinità dello sport, a 63 anni e dopo aver alzato quattro volte il Vince Lombardi Trophy, lanciato palloni per 40 chilometri e giocato 192 partite nella Lega più dura e brutale («Il football non è uno sport ma una guerra nucleare che non ha vincitori ma solo sopravvissuti» secondo la celebre definizione di Frank Gifford), l’ex quarterback dei sogni si gode i quattrini accumulati, produce olio d’oliva e vino («perché mamma era di Agrigento e in casa mia le tradizioni italiane sono sempre state e sempre saranno presenti») e qualche volta si immerge ancora per fotografare squali, hobby che i 49ers tentarono disperatamente, e inutilmente, di vietargli. Oggi, però, San Francisco impazzisce per Jimmy Garoppolo, paisà con nonni di Vasto, Abruzzo, che ha 28 anni ed è il quarterback della squadra della Baia che ha iniziato la stagione con otto vittorie e una sola sconfitta.
Il sangue, il ruolo e la maglia (numero 16 per Montana, 10 per Garoppolo) sono al momento i collegamenti tra i due e l’«erede», prima degli altri, ha voluto mettere le mani avanti: «Gioco quarterback nei 49ers e ho radici italiane come lui, ma per il momento fermiamoci qua». Anche perché Jimmy G, come lo chiamano in America, che pure due Superbowl li ha vinti comodamente seduto in panchina, sa bene che la vita nella Nfl è dura, fatta di gloria ma anche di infortuni e attese. Garoppolo, figlio di Denise e Tony, era infatti stato scelto al secondo giro nel 2014 dalla squadra più forte degli ultimi anni, i Patriots del New England. Per Bill Belichick, il coach discusso ma vincente come pochi altri, l’«italiano» sarebbe stato l’erede di Tom Brady, che oltre a essere il marito di Gisele Bundchen, di Superbowl ne ha vinti sei. Brady, però, ha fatto saltare i piani e a 42 anni dirige ancora l’attacco dei Patriots. Garoppolo non poteva aspettare in eterno il suo turno e il 30 ottobre di due anni fa si trasferisce in California. Il 26 novembre entra al posto di C.J. Beathard, il titolare finito all’ospedale, e inizia a costruire la sua carriera a suon di passaggi da touchdown, superando un brutto infortunio a un ginocchio e convincendo i 49ers di aver trovato l’uomo giusto. Convinzione che ha portato al nuovo contratto, grazie al quale Jimmy G ha sistemato il conto in banca in maniera definitiva: 137,5 milioni di dollari in cinque anni.
Oggi Garoppolo è una stella e come tutte le stelle è amato, invidiato, chiacchierato. I siti di gossip gli attribuiscono una fidanzata dopo l’altra: bellezze varie, modelle e anche una pornostar, Kiara Mia. «La mia vita è cambiata, so di essere sempre sotto il microscopio» ammette fatalista. Il ragazzo però piace perché è bravo, belloccio ed è un tipo diretto, che ha condensato la sua filosofia in sette parole su Instagram: «Vivere la vita un giorno alla volta». Ha fisico (188 centimetri per 102 chili), braccio, coraggio e la capacità dei grandi quarterback di restare freddo e fare la scelta giusta anche quando un paio di belve ti stanno arrivando addosso con l’intenzione di sbriciolarti. E poi ha sangue italiano e a San Francisco la gente sogna di vivere con lui un’altra età dell’oro.
Montana era stato programmato dal padre, che aveva radici lombarde. Allevato fin da bambino nel giardino di casa a New Eagle, in Pennsylvania, per diventare un quarterback. Garoppolo no. Papà faceva l’elettricista a Arlington Heights, un sobborgo di Chicago, nell’Illinois, e lavorava come un pazzo per far crescere i suoi quattro ragazzi. Mamma era poliziotta e non si fidava del football. Sperava che i figli si accontentassero del calcio, molto meno pericoloso. Ma Jimmy aveva talento. Inizia a giocare in difesa al liceo, linebacker nei Mustangs della Rolling Meadows. Ma subito l’allenatore lo sposta a quarterback affidandogli le chiavi della squadra. Poi l’università, con i Panthers di Eastern Illinois e la stessa maglia di Tony Romo, quarterback per 13 stagioni dei Dallas Cowboys. Nell’ultimo anno al college vince il Walter Payton Award, premio per il miglior giocatore offensivo. Poi la chiamata dei Patriots, i numeri 1. Ora Jimmy G ha la strada segnata, una carriera cominciata tardi ma che promette molto. Dovrà solo imparare a tenere alta la concentrazione anche dopo la partita per non rispondere più alla giornalista che gli chiede come si sente: «It feels great, babe».