Libero, 15 novembre 2019
Sul libro di Gigi Marzullo
«Cogito ergo sum», ossia «penso dunque sono», diceva Cartesio, ma forse sarebbe più opportuno affermare «domando quindi esisto». La domanda è sia dubbio sia desiderio di conoscere, comporta il chiarimento, quindi la comprensione e l’armonia, e nell’esercizio di interrogare se stesso e gli altri l’essere umano esprime la propria eterna tensione verso la verità ed il trascendente svelando in tal modo l’esistenza di un profondo abisso interiore. Egli non è un mero corpo. È anche anima. Chi non domanda è morto, o almeno spento, quasi inanimato, privo di curiosità e disinteressato a ciò che lo circonda. Più un individuo è vivo, più nella sua testa nascono interrogativi. I bambini, ad esempio, conducono all’esaurimento nervoso genitori, nonni e maestri che incalzano con infiniti: «Perché?». Essi desiderano impossessarsi del mondo, scoprirlo, ecco il motivo per il quale dovremmo sempre cercare di rispondere con pazienza ed amore ai loro teneri quesiti. C’è pure chi le domande le fa per mestiere, tanto che il suo interpellare diventa con il trascorrere dei lustri una sorta di deformazione professionale. È questo il caso di Gigi Marzullo, medico chirurgo, giornalista, scrittore, autore e conduttore televisivo, il quale ha appena dato alle stampe un libro alquanto particolare Non ho capito la domanda, edito da Rai Libri. Esso racchiude «365 dubbi e rovelli per tutto l’anno», poiché è probabile che Marzullo, amante dei punti interrogativi, ritenga che dobbiamo tenere in allenamento ogni giorno spirito e cervello mediante quiz cervellotici, del tipo: «La fortuna esiste, non esiste o si provoca?», o «Per vivere nel mondo dei sogni bisogna fare i conti con la realtà o per vivere nella realtà bisogna fare i conti con il mondo dei sogni?», o «Il segreto della felicità è fare sempre ciò che si vuole o è volere sempre ciò che si fa?», o «Il vero inferno è non amare più o è amare per sempre», o ancora «È meglio scavare a fondo nella nostra personalità per conoscere noi stessi o è meglio non scavare a fondo nella nostra personalità per non rischiare di imbatterci in uno sconosciuto?». È da una trentina d’anni che Marzullo rivolge agli ospiti delle sue trasmissioni simili interrogativi e lo fa nel mezzo della notte, un momento silenzioso e magico, ideale per addentrarsi nell’intimità dell’interlocutore.
REBUS IRRISOLTI
Ognuno di noi ha tra le sue conoscenze tre o quattro persone da cui, qualora decidesse di chiedere certe cose, si sentirebbe replicare con un sonoro “vaffanculo”. Povere loro poiché ignorano la bellezza del porsi domande a prescindere dalle risposte, queste ultime non sono tanto importanti quanto le prime. In fondo, ci sono quesiti a cui non potremo fornire mai responsi, eppure da millenni non smettiamo di sollevarli. «Dio c’è?», «E il paradiso?», «Esistono altre forme di vita nell’Universo?». Chi di noi non ha riflettuto riguardo codesti argomenti? Accanto a questi rebus ve ne sono altri, di minore valore ma che pure ci sottraggono la maggior parte del tempo e delle risorse: «Cosa mangio a pranzo?», «Cosa indosso stasera?», «Posso abbinare il blu con il nero o ne viene fuori un pasticcio?», «Vincenzo mi telefonerà?». Ecco perché ci piace l’opera di Marzullo: ci spinge a considerare le domande che contano, le quali trascendono la contingenza, ci sollevano dal materialismo, facendoci arrivare dove non ce lo aspetteremmo, ossia in prossimità di noi stessi. Le risposte, infatti, non stanno fuori, bensì dentro. Da qui sorgono e sgorgano.
PAURA DELLA VERITà
Tuttavia, a volte evitiamo di farci e di fare proprio le domande fondamentali, per paura della verità. Gli interrogativi più elusi sono: «Chi sono?», «Sono felice?», «Come mi sento?», «È davvero questo ciò che voglio?», «Dove sto andando?». Ci sono domande che rivolgiamo per educazione ed altre che non rivolgiamo sempre per educazione. Ci sono domande che comportano una perdita di tempo ed altre che il tempo ci consentono di risparmiarlo. Ci sono domande che spezzano il cuore ed altre che lo ricompongono. E ci sono anche domande stupide, la più stupida delle quali è: «Posso farti una domanda?». Per chiedere non serve mica il permesso. Basta un pizzico di audacia.