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 2019  novembre 15 Venerdì calendario

Biografia di Valeria Bruni Tedeschi


Valeria Bruni Tedeschi, nata a Torino il 16 novembre 1964 (55 anni). Attrice. Regista. Sceneggiatrice • Tra i suoi film: Storia di ragazzi e ragazze (Pupi Avati, 1989); Le persone normali non hanno niente di eccezionale (Laurence Ferreira Barbosa, 1994, premio César per la miglior promessa femminile); La seconda volta (Mimmo Calopresti, 1996, David di Donatello); La parola amore non esiste (Mimmo Calopresti, 1998, David di Donatello); La balia (Marco Bellocchio, 1999); Histoire d’eaux (Bernardo Bertolucci), nel film a episodi Dieci minuti più vecchio: il violoncellista (2002); Cinque per Due – frammenti di una vita amorosa (François Ozon, 2004); Munich (Steven Spielberg, 2005); Baciami ancora (Gabriele Muccino, 2010); Viva la libertà (Roberto Andò, 2013); Il capitale umano (Paolo Virzì, 2014, David di Donatello); Latin Lover (Cristina Comencini, 2015); La pazza gioia (Paolo Virzì, 2017, David di Donatello). Da regista, ha realizzato È più facile per un cammello… (2003, premio César per la miglior opera prima), Attrici (2007), Un castello in Italia (2013), I villeggianti (2018), ispirati alla propria vita • «Attrice dalla bella voce foneticamente non allineata, dai modi eleganti, dal sorriso contagioso, perché conserva due nazionalità che non provocano un io diviso» (Maurizio Porro, Corriere della Sera, 3/9/2004) • «Quella che comunemente definiremmo un’attrice impegnata. Ruoli intensi, sofferti, di donne complicate, a volte contorte, mai banali […] Ha una bellezza sofisticata, non prepotente. Il carattere è esageratamente schivo, quel tipo di persona che fai fatica a capire com’è dentro perché se superi un certo limite con le domande si chiude a riccio e fugge» (Claudia Carucci, La Stampa, 14/7/2002) • «Questo lavoro può essere un’autoterapia. Per me recitare non è mettere una maschera, ma toglierla: perché recitando ruoli che non ti appartengono, puoi sfogare senza pudori emozioni e fantasie a cui difficilmente ti abbandoneresti» • «Con i miei film ho sempre voluto raccontare in modo onesto l’esistenza. E vorrei far ridere: delle cose vere, della nostra vita, che è buffa».
Parentele Sorella di Carla Bruni (sorellastra, giacché quest’ultima è nata dalla relazione extraconiugale della madre col pianista Maurizio Remmert) • «Per cinque anni, l’attenzione dei giornali era così morbosamente concentrata sulla vita di mia sorella che qualunque cosa io facessi, il mio lavoro passava in secondo piano o diventava una scusa per parlare di lei. Ricordo che venni in Italia per uno spettacolo […], mi fecero un’intervista e il titolo era “La sorella di Carla Bruni fa teatro”. Niente di grave, un po’ di irritazione che passa in cinque minuti» (a Paola Jacobbi, Vanity Fair, 16/10/2013) • Un fratello, Virginio, fotografo, morto di Aids nel 2006.
Titoli di testa «Non perdiamoci in chiacchiere, il pubblico è qui per vedere il film».
Vita Alberto Bruni Tedeschi, morto nel 1996, è l’erede della dinastia degli pneumatici Ceat (solo la Pirelli ne vende di più), ma vorrebbe fare l’artista. Compone musica classica, e diventerà direttore artistico del Teatro Regio di Torino • La madre è Marisa Borini, pianista di talento e attrice: «Un pedigree trasgressivo alle spalle: buonissima borghesia torinese all’origine, ma poi anche grande capacità di prenderne le distanze, e in buona sostanza di divertirsi a stupirla, la buona borghesia» (Maria Luisa Agnese, Corriere della Sera, 22/12/2007) • «I miei genitori non erano convenzionali: questo mi ha dato slancio per cercare la vera me. Mio padre e mia madre hanno vissuto l’amore in modo strambo, a volte ipocrita, ma si sono amati fino in fondo» (al Corriere della Sera, 1/3/2019) • «Marisa aveva trentadue anni, due figli, molte guardie del corpo, un marito più vecchio che di giorno guidava la seconda industria di pneumatici del Paese e di notte componeva musica dodecafonica, si tradivano molto e lei lo tradiva soprattutto con un ragazzo parecchio più giovane con cui suonava il pianoforte. Marisa restò incinta, l’amante aveva diciannove anni, il marito cinquanta, era il 1967 e gli scandali erano cose da poveri, nacque Carla, cresciuta come una Bruni Tedeschi (però fortunatamente senza quel mento pronunciato, ereditato dal padre, che deve avere devastato la giovinezza di Valeria). A Torino pare lo sapessero tutti, Carla forse lo seppe soltanto dalla madre, quando Alberto Bruni Tedeschi stava per morire, allora andò in Brasile a conoscere il vero padre» (Annalena Benini, Il Foglio, 11/1/2008) • Valeria vuole fare la maestra: «Da bambina insegnavo a mia sorella e alle venti bambole le mie poche conoscenze. […] Sua sorella Carla stava al gioco? “Ha imparato a leggere e scrivere a tre anni, le tabelline a quattro. Ero severa e intensa con lei. Alzava il dito quando sapeva le cose e io, con un po’ di sadismo, interrogavo invece Cespuglioni, la mia bambola con i capelli rossi. Era una piccola ingiustizia, ma perché volevo far studiare Carla al meglio. Il nostro rapporto è iniziato così e continua anche un po’ adesso...” […] Lei era appassionata di bambole? “Mi piacevano, ma per me non c’erano differenze tra la Cespuglioni e Renato Kumper, altro personaggio immaginario, ermafrodita, con cui dialogavo”» (Arianna Finos, la Repubblica, 13/11/2019) • «Ho ricevuto un’educazione cattolica, ma Tedeschi è un nome ebreo del nord Italia. Mio nonno paterno si è convertito durante la guerra sposando una donna cattolica» • La sua famiglia era così altolocata che i parenti, prima di parlare al nonno, dovevano farsi annunciare • «Quando recito lavoro sulla mia infanzia. I traumi, le paure, gli amori più grandi, le gioie e le delusioni vengono tutte da lì. È impensabile tagliare questo filo con il mio passato» • Sono gli anni Settanta, e le Brigate Rosse rapiscono i figli dei ricchi: quando Valeria ha nove anni «fuggirono a Parigi, dove comprarono, a modesta abitazione, un palazzo del Seicento (poi Bruni Tedeschi vendette la Ceat, perché andava male e perché si sentiva un artista)» (Benini) • Maria Anna Parolin, la tata di famiglia, «narra che [] Jacques Chirac fosse di casa, spesso invitato a pranzo. Nel grande appartamento della famiglia […] a Parigi vicino alla Tour Eiffel era un via vai di personalità del mondo politico e finanziario anche se per sicurezza e discrezione […] sul campanello non c’era il nome» (La Stampa, 3/1/2008) • «La madre impicciona e arrampicatrice […] faceva di tutto perché d’estate a Cap Negre, in Costa Azzurra, i figli frequentassero i giovani Grimaldi, i bambini di Grace Kelly: Caroline, Alberto e Stephanie» (Benini) • «Com’era lei a scuola? “Brava. Non copiavo ma facevo copiare. La mia sofferenza […] è stata che non sapevo mentire: arrossivo sempre, non avevo possibilità di schermarmi”» (Finos 2019) • «Lei è stata un’adolescente ribelle? “No, e mi dispiace molto. Tirar fuori la rabbia mi avrebbe fatto molto bene, invece mi sono tenuta tutto dentro”. Che cosa la tormentava? “I soliti motivi esistenziali che rovinano la vita degli adolescenti: sentirsi brutti, soli, non amati”. E il rapporto con sua madre com’è stato? “Non abbastanza conflittuale perché criticarla è difficile”» (Gloria Satta, Grazia, 18/9/2014) •  «Perché ha voluto fare l’attrice? “Perché da ragazza ero molto sola. La prima volta che andai a un corso di teatro, avrò avuto 17 o 18 anni, ho capito che lavorare in gruppo rispondeva al mio bisogno di incontrare gente. Avrei incontrato gente anche se avessi fatto il medico in un ospedale, mi dirà lei, ma il teatro mi dava la possibilità di parlare di me attraverso i personaggi e questo mi ha aiutato a combattere la solitudine» (Jacobbi) • «I miei genitori non erano preoccupati da quello che avrei scelto come mestiere. Ci hanno sempre lasciato libere, a me e mia sorella. Erano più attenti a mio fratello che non trovava la sua strada. Mio padre era fiero del fatto che studiavo letteratura all’università e quando ho smesso per fare l’attrice ha avuto una piccola delusione, durata poco» • «Valeria ha fatto l’Ecole des Amandiers a Nanterre con [il regista, ndr] Patrice Chéreau che l’ha lanciata in Hotel de France nel 1987» (Anais Ginori, la Repubblica, 18/4/2015) • «A proposito di maestri, ce ne sono anche alcuni che le ali le tarpano. “Ne ho avuti tanti. L’insegnante di teatro che diceva ‘sarai forse un artigiano ma mai un’artista’, l’agente che a 19 anni mi disse ‘sì, forse puoi farlo il mestiere, ma non ridere mai perché quando ridi sei bruttissima’. Non dimentico nessuno, ma trovo più prezioso ricordare gli sguardi di […] Chéreau, di Mimmo [Calopresti], di Noémie Lvovsky, di François Ozon, di mio padre, che mi hanno fatto sentire di avere le ali. Tutti le abbiamo, ma loro mi hanno aiutato a spiegarle”» (Finos 2019) • Nel 1994 arriva a Cannes con Oublie-moi «“Avevo 30 anni”. Cosa la colpì? “Che tutto si svolgesse in poco più di cento metri. Un giro sulla terrazza dell’Excelsior e trovi tutti”. Lei chi trovò? “Philippe Garrell. Avevo visto un suo film, J’entend plus la guitare. Un mito, non osavo avvicinarlo. Adesso fa parte della mia famiglia. Mai l’avrei immaginato”. Né mai avrebbe immaginato che il figlio di Philippe, Louis, sarebbe diventato nel 2007 il suo grande amore. Lui 24 anni, lei 43. Cinque anni insieme, una bimba adottata, di cui Philippe oggi è il nonno... “È il girotondo del caso e della vita. Tutto nasce, muore, rinasce... È il filo conduttore del film di Moll, cinque personaggi in cerca d’amore, cinque intrecci imprevedibili”» (Giuseppina Manin, Corriere della Sera, 28/8/2019) • «Ha lavorato molto in Italia, frequentando i set di Bertolucci, Bellocchio, Olmi e Calopresti con cui ha vinto due dei suoi [quattro, ndr] David di Donatello» (Ginori 2015) • «Calopresti ha cambiato la sua [vita]? “Un incontro decisivo. Ricordo il giorno in cui ho visto lui e Moretti per La seconda volta, un film che mi ha fatto riappropriare della mia lingua”» (ibidem) • «Quando arrivò a Torino per girare La seconda volta parlava con la erre moscia e aveva un atteggiamento da signorina bene francese, ma nel giro di qualche mese si era messa il suo giubbotto proletario e girava per la città come una persona qualunque. Era entrata nella parte» (Calopresti a Guido Andruetto, la Repubblica 20/10/2013) • Dal 2003 lavora anche come regista e gira quattro film semi autobiografici: «Quando sono dietro la cinepresa provo una sensazione meravigliosa, quasi materna, di forza mista a dolcezza. Più che dirigere mi piace guidare, creando un rapporto che coinvolge tutta l’equipe». Nel cast ha scritturato anche la mamma, una vecchia zia ultranovantenne e la figlia: «Manca solo mia sorella Carla: la chiamo a ogni film ma lei non vuole» • «Tutti i divi sono in fuga da Woody Allen. Lei ha detto: “Meglio così magari riesco a lavorarci io”. “I suoi film resteranno le medicine che mi hanno aiutato, facendomi credere alla possibilità di ridere dei dolori, fare ordine al nostro caos. Anche se Allen fosse colpevole di atti terribili, non dimentico quanto il suo cinema mi ha consolata”» (ibidem) • Non le piace Netflix: «“Io non guardo i film sul piccolo schermo, io vado al cinema”. E se Woody Allen le propone un film su Netflix? “Lo faccio. Subito. Cambio idea. Solo gli scemi non cambiano idea”» (ibidem).
Vita privata «Quando si fa l’attore, bisogna sempre essere in contatto con la propria fragilità... la nostra vita privata è nei film che il pubblico vede. Per questo, a volte, fare questo mestiere costa così caro» • Vive a Parigi • «Non ama la vita mondana, le fotografie, le intemperanze della moda» (Lucia Castagna, Sette, n. 18/1998) • «Trovo bello un ragazzo o un uomo che arrossisce» • Dopo una relazione con il regista Mimmo Calopresti, dieci anni più di lei, dal 2007 al 2012 è stata la compagna di Louis Garrel, attore, diciannove anni meno di lei • «Questa cosa dell´età di cui si parla tanto, l´ossessione per il numero degli anni, non la capisco» • «L’attore è più infantile, egocentrico, bisognoso d’affetti e attenzioni. Il regista è più adulto e consapevole. Così quando mi sento più salda scelgo il primo, mi occupo degli altri, li guardo, li amo. Quando ho bisogno di essere amata, preferisco il secondo» • Una volta ha interrotto a metà un’intervista con il Times perché la cronista le aveva chiesto della fine della sua storia d’amore: «Stronza!» le ha gridato (in italiano), poi se ne è andata e l’ha lasciata lì • Ha adottato una bambina senegalese, Céline (nel 2009), e un bambino vietnamita, Noè (nel 2014).
Giudizi «Piange sempre e fa mille capricci, un giorno non ti saluta e l’altro ti guarda dall’alto in basso e con la voce da femme fatale dice: “Ciao, come stai?”» (Paolo Briguglia) • «Meglio di Carlà» (Annalena Benini) • «È tanto brava e più disciplinata di me» • «Che cosa risponde a chi l’accusa di descrivere sempre un ambiente ricco e privilegiato? “Rispondo che è vero: parlo della classe sociale che conosco meglio, ma sempre con una certa dose di derisione e perfino con crudeltà”» (Satta 2013).
MeToo «Mi sento estranea al movimento forse perché ho lavorato tanto in teatro, con registi omosessuali e non ho vissuto abusi sulla mia pelle. Senza nulla togliere al dolore delle vittime, mi creano un forte disagio le delazioni, le denunce, le condanne precipitose. Aver spazzato via artisti come Woody Allen e Kevin Spacey è semplicemente orribile» (alla Satta).
Curiosità È alta 1 metro e 71 e pesa 65 chili • Molto amica di Valeria Golino • Vuole accogliere i migranti • Sembra che sia stata lei, assieme alla sorella, a convincere Sarkozy a non concedere all’Italia l’estradizione di Marina Petrella, ex brigatista, condannata per omicidio • «Valeria non ricorre alla chirurgia estetica, mentre la sorella, già soprannominata “Robocop”, ha iniziato prima ancora di averne bisogno. Valeria normalmente non si trucca, si pettina come capita, si veste idem e magari mostra qualche chilo di più» (Alberto Mattioli, La Stampa, 15/5/2016) • Carla però con Woody Allen ci ha lavorato • «Lei è cresciuta e vive in Francia. Ma si sente ancora italiana? “Senza alcun dubbio. È italiana la mia cultura: mi sono formata su Leopardi e la letteratura romantica. Ho sempre studiato e letto in italiano, la lingua che oggi parlo con mia figlia”» (Satta 2014) • «I suoi figli faranno gli attori? “Decideranno loro ma spero di no. L’attore vive in modo infantile, dipende dall’amore degli altri per tutta la vita. Anche a 60 anni gli attori aspettano che squilli il telefono, sperano che venga loro offerta una parte, vogliono essere rassicurati sul fatto che il pubblico non li ha dimenticati. Non è una cosa che augurerei ai miei figli”» (a Stefano Montefiori, iO Donna, 14/3/2015) «Che rapporto ha con cellulari e tablet? “Sono spaventata dagli schermi. Non mi batto abbastanza contro la stupidità, la violenza e la volgarità di certe immagini. Sono strumenti deleteri per l’immaginario, la voglia di leggere, l’importanza della noia e del vuoto. A scuola di mia figlia, per evitare la cartella pesante, le hanno dato un tablet al posto dei libri. Mi è venuto da piangere”» (Finos 2019)«È felice della sua carriera? “Sono fiera di aver messo insieme le amicizie, il cinema, la famiglia. Questa continuità dà un senso alle cose che faccio. E trasforma il mio lavoro in una festa”» (Satta)«Noi attori siamo uno, nessuno e centomila. Tempo fa mi hanno fermato per strada e mi hanno detto: “Lei è strepitosa, resti nevrotica così com’è” , e io ho capito che per quelle persone ero una nevrotica. Un’altra volta, dopo un autografo, mi sono sentita dire: “Come è umana”. Penso che ci amino per quello che loro immaginano che siamo».
Titoli di coda «Ora, cappotto intonato agli occhi cerulei, le valigie sparse nella suite, cerca di farsi anticipare il volo per Parigi per cenare con i figli» (Finos 2019).