Filippo Facci per “Libero Quotidiano”, 14 novembre 2019
LILLI, FACCI IL PIACERE – FILIPPO FACCI SGONFIA GLI ZIGOMI ALLA GRUBEROVA: “OGNI SERA PENSA DI AVER VINTO. E OGNI SERA, SPESSO, ANCHE L’OSPITE PIÙ MALTRATTATO PENSA DI AVER VINTO - LILLI HA QUESTA SUA PRESENZA APPARENTEMENTE IRRILEVANTE, DÀ SEMPRE L'IMPRESSIONE CHE SENZA UNA SCALETTA SCRITTA NON TROVEREBBE NEPPURE L' USCITA - ABORRIAMO I LITIGI TELEVISIVI: POI CORRIAMO A GUARDARLI. A PAROLE CONDANNIAMO, POI, CATODICAMENTE, HOMO HOMINI LUPUS….” -
Noi guardiamo in tv lo scontro Gruber-Meloni (ma anche Gruber-Salvini) e facciamo mediamente ragionamenti da bar, e questo per una semplice ragione: siamo al bar, l ambiente ormai è quello, da briscola, da grappino, da partita guardata alla tv senza cervellotici ragionamenti da dopopartita, ciascuno provvisto dell' armamentario classico, ossia «ladri», «arbitro cornuto», «non era fallo», «era rigore» eccetera.
Non c' è, quindi, da richiamarsi al «dovere di informare» e a una presunta equità giornalistica, non c' è da invocare una veridicità delle risposte e un galateo politico-televisivo: c' è una partita, punto, e c' è un pubblico che fa il tifo, con la complicazione che il risultato finale non comparirà sul tabellone perché sarà basato sull' interpretazione di ciascuno. Ogni sera, la Gruber pensa di avere vinto. E, ogni sera, spesso, anche l' ospite più maltrattato pensa di avere vinto.
perché? Da qui la domanda: ma allora che giocano a fare? Chi le obbliga? Che ci guadagnano? Perché Lilli Gruber invita Giorgia Meloni, se le sta sulle balle? Perché Giorgia Meloni va da Lilli Gruber, se sa che verrà maltrattata? Anche qui: la risposta non c' entra niente con presunti «doveri» dei giornalisti o dei politici verso il pubblico verso o «gli italiani».
La Gruber se ne fotte, invita chi vuole e non invita chi non vuole, se avesse la pretesa di apparire equa non inviterebbe certe «spalle» faziosissime e prezzolate che tolgono autorevolezza al suo programma. Mentre la Meloni (ma anche un Salvini) se ne fotte a sua volta, perché sa benissimo che in effetti nella trasmissione potrebbe non andare (ce n' è tante altre) ma ci va lo stesso, perché le probabilità di uscirne vincente sono comunque alte: se tutto andrà tranquillo, bene o male, esporrà le sue opinioni, se sarà un caos meglio ancora, i passaggi televisivi saranno moltiplicati e con essi i consensi.
È questa la differenza essenziale tra la faziosissima e inconsapevole Gruber e la faziosissima e consapevole Meloni: entrambe pensano di avere vinto, entrambe consolidano o conquistano un proprio e separato pubblico, certo, ma con il fondamentale dettaglio che la Gruber fa crescere solo delle percentuali d' ascolto che giovano al suo contratto e all' inserzionista pubblicitario (sai che ce ne frega a noi) mentre la Meloni fa crescere delle percentuali di consenso politico che, potenzialmente, potrebbero cambiare gli assetti politici.
In altre partole, stiamo riscoprendo l' acqua calda: cioè che la demonizzazione porta fortuna a chi demonizza, ma ancora di più ne porta al demonizzato. E in genere, spiace ma è vero, il demonizzato è di destra e il demonizzatore è di sinistra, anche se ufficialmente no, ma che dite, Tizio è equidistante, fa solo domande, lui dalla parte del lettore o dell' ascoltatore o della «verità», le solite cazzate ipocrite.
ULIVO Dietlinde Gruber, detta Lilli, ne è specialista: è stata europarlamentare per l' Ulivo, ma chi se lo ricorda; ha questa sua presenza apparentemente irrilevante, dà sempre l' impressione che senza una scaletta scritta non troverebbe neppure l' uscita, se l' ospite è gradito le sue domande sono solo delle virgole, delle interlinee tra due righe di testo, sono domande che stanno sulla punta della lingua di chi, come un certo pubblico a casa, di un argomento ignora tutto: per questo piace. Poi, per le stesse ragioni, dispiace ad altri: e parecchio. Se fosse lei a intervistarlo, per esempio, a me renderebbe simpatico persino Stalin.
Anche perché, in mezzo, c' è il bar. Questo siamo Aborriamo i litigi televisivi: poi corriamo a guardarli. Le homepage dei quotidiani ne ospitano ogni giorno. Gli ascolti televisivi ne escono premiati. A parole condanniamo, poi, catodicamente, homo homini lupus.
«IO SONO GIORGIA» Peraltro, a forza di dirlo, la comunicazione sta cambiando per davvero: e la popolarità «social» che cresce maggiormente è proprio quella di Giorgia Meloni, i cui profili negli ultimi due mesi hanno superato persino lo specialista Matteo Salvini. Ma, anche in rete, il meccanismo che premia il demonizzato si ripropone, si amplifica.
Il remix di «Io sono Giorgia», montaggio rap del comizio che la Meloni tenne in piazza San Giovanni a Roma il 19 ottobre, ha ormai sfiorato i 5 milioni di visualizzazioni, e ha lasciato l' amaro in bocca a chi, con quel remix, voleva solo sfottere la leader di Fratelli d' Italia. Pazienza, gli autori del montaggio ne hanno guadagnato in «click», la Meloni, probabilmente, ne ha guadagnato in consensi. Stesso schema della Gruber.