il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2019
Da Mussolini a Churchill, i leader drogati
La Storia la scrivono i tossici: Kennedy era dipendente dalle anfetamine, Hitler dagli oppioidi, Mussolini dai clisteri, Mao dal sesso, e via così. Turbe psichiche, e quindi farmaci e droghe, non sono solo appannaggio dei dittatori: “Su 37 presidenti americani dal 1776 al 1974, 18 (49%) presentavano disturbi psichiatrici come depressione o alcolismo”. Lo rivela Tania Crasnianksi ne Il potere tossico – in libreria da oggi con Mimesis –, in cui sbozza i ritratti dei più influenti leader del XX secolo “sotto controllo medico”, dalla cui salute dipese la sorte del mondo intero.
Churchill. Winston avrebbe voluto passare la vita a mollo nella vasca da bagno perché gli alleviava il “black dog”, la depressione (forse sindrome bipolare). Lord Moran fu all’inizio restio a prescrivergli droghe, poi cedette sulle anfetamine e gli ipnotici e infine passò agli stimolanti, più barbiturici e antidolorifici. Ma non riuscì a cambiare lo stile di vita del paziente: fino a 10 sigari al giorno, mezzo litro di champagne, vino bianco a pranzo, vino rosso a cena, brandy di notte. Spesso andava in aula brillo; quando una deputata lo incalzò, dandogli dell’ubriacone, il premier rispose: “Signora, lei è brutta. Ma io domani non sarò più ubriaco”.
Mussolini. Georg Zachariae fu caldeggiato dall’amico Adolf, preoccupato per la salute del duce: non mangiava, non andava di corpo, non dormiva e si imbottiva di lassativi, oltre a soffrire di anemia e pressione bassa. Il doktor iniziò a curarlo con iniezioni di testosterone e ormoni estratti da testicoli animali, proprio lui che si rifiutava di mangiarli, osservando un regime vegano. In compenso trangugiava cocktail stimolanti a base anche di batteri per la flora intestinale. Ma le sue malattie, dalla gastrite all’astenia, erano di origine psicologica: una depressione nervosa, pare, e infatti per l’autopsia Mussolini morì in salute.
Hitler. Theodor Morell prescriveva ad Adolf “elevate dosi di medicinali, ai limiti della legalità” tra oppioidi, anfetamine, barbiturici, sedativi, cocaina, morfina, stimolanti per il cuore e “pozioni” con vitamine, batteri, steroidi e ormoni, più belladonna e stricnina contro la flatulenza. Niente di illegale, anzi: i laboratori nazisti sintetizzarono per primi l’eroina per curare la dipendenza da morfina. Ma la tossicodipendenza del “paziente A” diventò insostenibile nel 1943, quando intuì che la guerra era ormai persa.
Kennedy. Jfk consumò stupefacenti almeno quanto Hitler: suo pusher fu Max Jacobson, il “doctor Feelgood”, specialista dello stress, a sua volta drogato. Kennedy era dipendente dagli analgesici sin da ragazzo, oltre a soffrire del morbo di Addison, curato con cortisone e steroidi, ma la lista di farmaci era più lunga: antibiotici contro le malattie veneree, anfetamine, barbiturici, ritalin, benzedrine, oppiacei (come il Fentanyl, tornato di moda), codeina, metadone, alcol, cocaina, Lsd, hashish. E vitamine. Il dottore gli faceva le iniezioni sul collo, ogni 6 ore.
Stalin. Vladimir Vinogradov fu fatto fuori – professionalmente; c’è a chi andò peggio – nel 1953 a causa delle paranoie del paziente-dittatore, che paventava un complotto di medici ebrei. Eppure Stalin fu ucciso dalle sue stesse fobie perché si rifiutò di farsi curare. Colto da ictus, rimase in agonia per giorni: dopo la morte si scoprì che la sua grave forma di arteriosclerosi aumentava i deliri persecutori.
Mao. Era un erotomane: credeva di conquistare la “longevità tramite il sesso”, accoppiandosi con ragazzine e ragazzini. Ovviamente contrasse molte malattie veneree, favorite dalla scarsa igiene: non si lavava mai, nemmeno i denti, e soffriva d’insonnia, curata da Li Zhisui con un anestetico e barbiturici. Il dottore non durò molto: in preda ai suoi quarti di luna e di sciatica, Mao lo licenziò perché “la mia medicina è solo nuotare”.
Pétain. I maligni sussurravano che da quando c’era il Maresciallo la “Francia era governata da un medico di campagna”, Bernard Ménétrel. Per altri Pétain era un “rimbambito”, manipolato dal suo terapeuta. In realtà era pigrissimo: lavorava solo tre ore al giorno, tenendosi su con la benzedrina. La sua lucidità mentale peggiorò di anno in anno, tanto che al processo – nel 1945 – andò completamente fuso.
Franco. Vicente Gil era “Vincentón” per l’amico Francisco, un “Caudillo” ossessionato dall’odore della polvere da sparo, segno di “una vita sessuale insoddisfacente”. Franco godeva di buona salute, a parte gli stravizi a tavola che lo portarono a pesare oltre 90 chili per 1,63 di altezza. Quando morì d’infarto, la cartella clinica riportava oltre una dozzina di patologie.