il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2019
Il cemento sui fiumi italiani
Uno sguardo più amplio all’Europa, uno più stretto all’Italia: lo stato di salute degli specchi d’acqua dolce è critico in almeno il 60 per cento dei casi nel continente e in Italia solo il 43 per cento dei fiumi è in un “buono stato ecologico”. Per i laghi, la percentuale scende al 20 per cento, solo due su dieci. Il dossier del Wwf “Un futuro per i nostri fiumi” è chiaro sull’influenza dell’uomo. La sintesi è questa: i nostri fiumi sono in gran parte “canalizzati”, dighe e sbarramenti ne interrompono la continuità, i boschi ripari vengono tagliati e gli alvei dragati. Inoltre si coltiva in modo insostenibile, molti centri non hanno ancora sistemi fognari adeguati e il consumo di suolo continua a trasformare il territorio.
Lo studio, 110 pagine di dati, cartografie e analisi, è dettagliato. Analizza, ad esempio, i reticolati dei fiumi e verifica su un campione pari a circa l’8% delle risorse idriche se le costruzioni sono a più di 150 metri dalle rive come previsto per legge. Emerge che la Lombardia e il Piemonte hanno convertito a uso urbano, circa 500 km quadrati di suolo vicino ai fiumi, mentre la Toscana, l’Emilia Romagna e il Veneto, insieme, si attestano su circa 620 km quadrati. Per il centro-sud il Lazio ha avuto un consumo paragonabile alle regioni del nord con 150 Km quadrati. In totale sono stati trasformati in cinquant’anni circa 2mila km quadrati di ambiti fluviali, l’equivalente di circa 310mila campi da calcio. Le trasformazioni più intense sono avvenute lungo le sponde dei fiumi di secondo ordine, ovvero quelli il cui bacino abbia una superficie maggiore a 400 km quadrati: sono passate dal 3,56 per cento al 25,7 per cento. Solo in Liguria quasi un quarto del suolo (23,8%) costruito entro la fascia di 150 metri dagli alvei fluviali, è stato occupato tra il 2012 e il 2015, si è costruito anche dentro gli alvei. Secondo l’Ispra, già nei tre anni prima del 2016 le regioni hanno continuato drammaticamente a portare cemento e infrastrutture dentro la fascia dei 150 metri: il Trentino Alto Adige ha incrementato del 12 per cento il consumo nelle fasce fluviali, il Piemonte del’9 per cento, l’Emilia Romagna con dell’8,2 per cento, la Lombardia dell’8 per cento, la Toscana del 7,2 pe cento. Solo dal novembre 2015 a maggio 2016 sono stati convertiti ad uso urbano 50 chilometri quadrati corrispondenti ad una velocità media di 280 metri quadrati al giorno, cioè tra 500 e 600 metri quadrati al giorno su base annua. Quella che può sembrare una briciolina, rappresenta invece una velocità pari al 66 per cento di quella registrata nel mezzo secolo del dopoguerra. Dieci anni a questo ritmo porterebbero a 2mila chilometri quadrati ulteriori di superfici artificializzate.
Un focusè dedicato alla città di Longarone, quella della tragedia del Vajont che nel 1963 fece 2mila vittime a seguito di una frana che fece tracimare l’acqua del bacino alpino realizzato con una diga. L’area, prima di essere spazzata via, si sviluppava su 59 ettari. Il problema è che la successiva ricostruzione non sembra aver imparato la lezione. La superficie si è quadruplicata, tre quarti dell’urbanizzato sono stati collocati vicino all’alveo fluviale spesso in aree a “elevata” o “media pericolosità”. Colpa, spiega il Wwf, del fatto che le opere idrauliche come difese spondali, argini e canali hanno creato un effetto di “finta sicurezza”. Ad Aulla, in Liguria, ad esempio, nel 1959 fu costruito un argine a ridosso del fiume che ha portato a edificare fin dentro il corso. Risultato: la città nel 2011 è stata invasa da acqua e fango. E ancora, il Vara altro fiume ‘impazzito’ nel 2011 che pochi giorni fa ha sommerso Borghetto di Vara: l’alveo attivo si è ridotto progressivamente. In tutt’Italia, insomma, negli ultimi anni la percentuale di suolo consumato all’interno delle aree a pericolosità idraulica elevata (eventi ogni 10 – 20 anni) è stata di un ulteriore 7,3 per cento mentre è del 10,5 per cento nelle aree a pericolosità media, con alluvioni “poco frequenti” e tempi di ritorno fra 100 e 200 anni. Una stima che porta il Wwf a ritenere che vi sono oltre 7,7 milioni di italiani a rischio alluvioni.