il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2019
Contro Chef Rubio
Per raccontare chi sia Chef Rubio senza giudizi contaminati dal tifo politico, bisogna partire dal nome d’arte: Chef Rubio. Il termine chef se ne sta lì appiccicato al cognome ritoccato (si chiama Rubini).
Senza che “chef”, Rubio, lo sia stato mai. È un po’ tipo Mamma Ebe, Mastro Geppetto, Babbo Natale, che tu non sai più perché si chiamano babbo, mastro e mamma, ma ormai ti sei abituato così e amen. Il vero problema di Rubio sta proprio nel suo continuo provare a depistare, forse più se stesso che gli altri, su quale sia la sua reale natura. Che è quella del bullo mascherato da capopopolo. Da bandiera della sinistra con i modi dello smargiasso di CasaPound. Ed è in questa zuppa densa di contraddizioni che lo smargiasso si sbraccia da anni cercando di restare a galla, sostenuto da una certa sinistra a cui basta che dia dello stronzo a Salvini per farselo stare simpatico.
A proposito di Salvini, Rubio ne è nemico pur ricalcandone gli stessi schemi, dal linguaggio carico d’odio (“Prima o poi ti incontro”, “Vigliacco senza palle”) alle fake news buttate lì per armare seguaci (memorabile il tweet in cui insinuò il dubbio che Salvini, ricoverato, si fosse inventato un malore). E ne ricalca gli schemi tipici degli arruffapopoli mascherati da amici del popolo, quando si lancia in analisi politiche semplificate all’osso, e gettando benzina su questioni che chiederebbero prudenza. Se Salvini lo fa con i migranti, lui lo fa con la questione israelo-palestinese.
Ci sono decine di tweet feroci in cui Rubio, convinto che il tema possa essere compresso in due slogan insultanti, si schiera coi palestinesi senza porsi il problema del “come”. Nello specifico, definendo Israele uno stato neonazista con “esseri abominevoli” e scrivendo “per salvare il pianeta eliminate fisicamente i sovranisti” con accanto una bandiera di Israele. Quando qualcuno gli fa notare che istiga l’odio contro Israele, lui risponde che ce l’ha con i sionisti-cancro-del-mondo, mica con gli ebrei.
Peccato che qualche tweet più in là scriva “Ah Rabbì” o “jewish idiot” o “Israele tra le tante cose di merda che offre al mondo deporta i filippini. Pulciari e avari dalla notte dei tempi”. E peccato, anche, che manifesti un’ostilità implacabile nei confronti di Roberto Saviano, di origini ebraiche, definito “finto giornalista” e “zerbino dei bancarottieri di Londra”. E invece Saviano, per sua fortuna, continua a lavorare per Repubblica. Un giornale che, alla notizia del licenziamento di Chef Rubio da parte di Discovery, pubblica un articolo piccato il cui passaggio più emblematico è: “Veder spadellare con la vacua leggerezza di Nonna Papera riesce molto più rassicurante per autori e spettatori”. Quindi chi non insulta sui social è Nonna Papera. Ne deduciamo che Cracco sia Paperino, un vacuo sfigato che cucina senza chiamare “rabbì” chi gli toglie una stella Michelin. E parliamo dello stesso giornale che dedica servizi su servizi a “Odiare ti costa” e “Parole Ostili” sui social.
Rubio non vuole essere Salvini ma è Salvini, vuole spacciarsi per anti-sionista ma fa battute antisemite, cosa manca? Ah già, vuole farci sapere che è contro il bullismo e presta il suo volto a campagne e programmi tv (come quello su Rai 2 da cui è stato escluso). Peccato che lo stesso Rubio abbia scritto su Facebook “Il bullismo c’è sempre stato, solo che si chiamava strada. Si incassava muti, si restituiva e a casa ‘tutto bene’”. Dunque il suo saggio insegnamento è rispondere alla violenza con la violenza e non dire nulla ai genitori. Tra parentesi, Amnesty interruppe ogni collaborazione con Rubio proprio per queste frasi. Del resto, che a lui piaccia prestare il volto a onlus di ogni tipo è risaputo.
È stato testimonial di quasi tutte le campagne del pianeta, da #salvaungorilla a salva un albero a salva un boscaiolo albino. Spesso auto-proponendosi, e non mancando di far inviare dal suo ufficio stampa decine di email ai giornali sulle iniziative benefiche. E guai a contestargli qualcosa, perché potrebbe rispondere con battute sessiste. A me ha scritto che io ce l’ho con lui perché “sta cosa che non gliel’ho dato non je va giù”. Su Belen aveva twittato che a furia di tette e culi “poi dici le violenze”.
Devo rinfrescare la memoria a Rubio e rammentargli che non ce l’ho lui, ma è lui ad avercela con me per il mio lavoro sul Fatto. Nel 2016 ho condotto una lunga inchiesta su gruppi Facebook chiusi in cui milioni di odiatori (alcuni perfino arrestati tempo dopo) condividevano contenuti razzisti, sessisti e la nota cartella denominata “Bibbia”, con centinaia di foto e video di minorenni. Tra questi “Welcome to favelas” e “La fabbrica del degrado”, in cui per anni si è praticato cyberbullismo. Dalla mia inchiesta iniziarono, con mia grande sorpresa, i post insultanti di Rubio. Mi venne spiegato che lui era attivo su quelle pagine. Lo contattai e lui mi disse: “Hai spaventato miei amici amministratori”. In pratica, la mia colpa era quella di aver rivelato i nomi di chi era a capo di quei gruppi in cui, tra le altre cose, si insultavano donne, ragazzi down, persone di colore, minorenni, ebrei.
Tutto questo prima che Rubio scoprisse la sua vocazione da testimonial anti-bullismo e difensore dei deboli, ovviamente. Va ricordato a un certa sinistra, prima che scomodi di nuovo la teoria dell’editto bulgaro per uno che, più che vittima della censura, è vittima di se stesso.