Corriere della Sera, 14 novembre 2019
Ilva, come funziona lo scudo penale
L’Ilva è come una macchina uscita fuori strada. Per riportarla in carreggiata è necessario completare il piano ambientale. Ma finché questo non sarà ultimato – Arcelor Mittal si era impegnata a farlo entro il 2023 – continuerà a inquinare oltre i limiti. Senza il cosiddetto scudo penale davvero chi gestisce la fabbrica rischia qualcosa? La questione, spiega Giovanni Maria Flick, ex ministro della Giustizia ed ex presidente della Consulta, è strumentalizzata da più parti («da chi accusa l’impresa di cercare un pretesto per uscire, da chi accusa lo stato di aver cambiato le carte in tavola; da chi in sostanza vuole chiudere l’Ilva e chi la vuol tenere aperta»). Ma resta cruciale per il destino dell’Ilva.
I rischi per i dirigenti Flick cerca di fare ordine. «Beh, per cominciare non lo chiamerei scudo penale; l’immunità in sede penale deve restare una eccezione e non diventare una regola», spiega. Senza scudo i manager dell’Ilva rischiano o basta a proteggerli l’articolo 51 del Codice penale? «La responsabilità penale è personale, per cui nessuno può essere chiamato a rispondere per reati commessi da altri in passato. Ma se commetto reati “ex novo” o semplicemente la fabbrica continua a inquinare mentre cerco di provvedere alla bonifica facendola funzionare, potrei essere chiamato a risponderne. È stato invocato a questo riguardo l’articolo 51 del codice penale («L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità») ma resto perplesso: l’ordine deve essere legittimo e non può essere quello di commettere un reato; l’ordine può essere dato a chi agisce per conto e nell’interesse pubblico come commissario mentre l’attività del privato finalizzata al profitto è un ‘altra cosa». Non solo i vertici dell’azienda possono essere chiamati a rispondere, «ma anche tutta la catena gerarchica», precisa Flick, in base alle deleghe ricevute, secondo i problemi che derivano dall’applicazione del decreto legislativo 231.
Il ruolo della Corte costituzionale
Più volte la magistratura ha sollevato eccezione di incostituzionalità rispetto allo scudo penale davanti alla Consulta. Come è andata a finire? «È vero che più volte la Corte è stata chiamata a pronunciarsi ma alla fine non c’è mai riuscita. Perché la norma è stata cambiata più volte prima che i giudici della Corte avessero il tempo di dire la loro. È successo anche di recente: l’8 novembre scorso la Consulta ha restituito gli atti al Gip del tribunale di Taranto invitandolo a esaminare se con la normativa in essere (nel frattempo lo “scudo” era stato tolto, ndr;) la questione continuasse a sussistere. E desta qualche perplessità questo andirivieni tra il mettere e il levare». Ma se mai si decidesse di reintrodurre la protezione legale per chi gestisce Ilva, come dovrebbe essere articolata? «Sicuramente una protezione di questo tipo deve tradurre un principio generale che possa essere applicato a tutte le aziende che oggi o domani si trovino nella stessa condizione. Questo perché, come dice l’articolo 3 della Costituzione, la legge è uguale per tutti e quindi non ci possono essere norme ad personam – risponde Flick —. Poi deve essere compatibile con l’articolo 32 («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto») e con l’articolo 35 («La Repubblica tutela il lavoro»). E infine con l’articolo 4 (La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro») e il 41 («l’attività d’impresa non si può svolgere in modo da recare danno alla sicurezza»). «Occorre trovare un equilibrio ragionevole e solo la Corte costituzionale è competente a decidere se quell’equilibrio ci sia».
Intervento eccezionale
Alla fine si torna alla questione delle questioni: come contemperare il diritto al lavoro con quello alla salute. «Per orientarci su questa delicata questione ci viene in aiuto una sentenza della Corte costituzionale, la numero 85 del 2013», spiega Flick. Nel 2012 il giudice aveva disposto il sequestro di ampie aree dell’impianto oltre che «del prodotto finito e/o semilavorato». Si intervenne allora con una modifica dell’Autorizzazione integrata ambientale per riprendere la produzione. Fu allora che il giudice sollevò eccezione di incostituzionalità e «girò» tutto alla Consulta, che disse che la questione era infondata. In pratica, diede torto al giudice. «Nella sentenza la Corte chiarì anche che per la nostra Costituzione non esiste una gerarchia tra i valori ma la necessità di garantire tra di essi un equilibrio in modo ragionevole e proporzionato», spiega il giurista. In conclusione, secondo Flick una protezione penale nei casi ilva e simili può forse avere senso ma dovrebbe essere concessa solo in casi eccezionali e temporanei.