Marco Patucchi per “la Repubblica”, 14 novembre 2019
COSA SUCCEDE SE L’ILVA CHIUDE? - SAREBBE LA FINE PER DECINE DI AZIENDE CHE LAVORANO PER L’IMPIANTO DI TARANTO FORNENDO PRODOTTI E SERVIZI - UN INTERO MICROCOSMO INDUSTRIALE (CIRCA 5000 OPERAI) CHE SCOMPARIREBBE INSIEME ALLA PIÙ GRANDE ACCIAIERIA D'EUROPA E AI SUOI 10.700 ADDETTI DIRETTI - I PROBLEMI SI SCARICHEREBBERO ANCHE SULLE IMPRESE MANIFATTURIERE ITALIANE CHE COMPRANO L'ACCIAIO COLATO A TARANTO… -
«Siamo spiacenti comunicare che la scrivente azienda è impossibilitata ad erogare gli emolumenti di ottobre». Per capire cosa significherebbe un'Italia senza l' Ilva, si può partire da qui, dalla lettera che ieri mattina la Giant, azienda dell' indotto siderurgico di Taranto, ha spedito ai rappresentanti sindacali. Niente stipendio per i lavoratori perché l'impresa, che fa manutenzioni meccaniche nello stabilimento, non si è vista saldare le fatture da ArcelorMittal.
L'inizio della fine per decine di aziende che esistono e lavorano esclusivamente per l' Ilva fornendo prodotti e servizi. Un intero microcosmo industriale (circa 5000 operai) che scomparirebbe insieme alla più grande acciaieria d' Europa e ai suoi 10.700 addetti diretti. E senza alcuna speranza di riconversione.
Superfluo spiegare il dramma sociale ed esistenziale per questi 15.000 lavoratori, per le loro famiglie, per interi territori. Ma il sisma della fine di Ilva, scaricherebbe scosse letali anche "a valle", con danni alle imprese manifatturiere italiane che comprano l' acciaio colato a Taranto. Un esempio didascalico: oggi un' automobile tedesca d' alta gamma monta per il 40-50% componentistica prodotta da aziende del nostro Paese. Una leadership conquistata anche in virtù della convenienza (economica e logistica) di rifornirsi all' Ilva: grazie a quel prezzo competitivo, le imprese italiane vendono componenti ai produttori di auto applicando a loro volta tariffari insostenibili per la concorrenza.
Ecco, se e quando l' Ilva non ci sarà più, scomparirà il vantaggio competitivo e la componentistica straniera sottrarrà quote di mercato, con effetti pesanti su un settore centrale nel sistema produttivo nazionale. E non solo su quello.
In base ai dati più recenti (precedenti comunque alla gestione di ArcelorMittal), ad acquistare l' acciaio Ilva sono per il 18% le aziende automotive (Fca su tutte), per il 17% quelle attive nelle infrastrutture (edilizia, grandi opere, oil&gas), il 15% finisce nel settore dei fusti, il 10% è rappresentato dalle lamiere (ad esempio il comparto dei cantieri navali), per il 7% lo utilizzano i produttori di elettrodomestici e per il 3% l' agroalimentare con la banda stagnata impiegata per i barattoli.
Resta una quota del 30% che finisce a distributori e trasformatori (tra questi, il gruppo Marcegaglia produttore di tubi) che a loro volta forniscono i settori auto, infrastrutture e meccanica. Dunque un'Italia senza Ilva, oltre ad abdicare dal ruolo di secondo produttore siderurgico europeo (in particolare, nel ciclo integrale degli altiforni insostituibile per le forniture più redditizie), vedrebbe depauperato anche l'intero sistema industriale, con evidenti effetti economici e occupazionali (i 3,5 miliardi di impatto annuo sul Pil stimati dallo Svimez).
«Nell' immediato non ci sarebbero particolari traumi - spiega Carlo Mapelli, docente al Politecnico di Milano - anche perché i clienti di Ilva già da qualche anno, a fronte delle evidenti difficoltà dell' azienda, si sono riposizionati sul mercato dei fornitori.
Consideriamo, in questo se nso, che già adesso l' Italia è importatore netto di 3 tonnellate all' anno di acciaio piano. Ma in prospettiva perdere un polo logisticamente strategico come Taranto sarebbe letale per la competitività di tutta l' industria italiana».
Un concetto che Davide Lorenzini, esperto di Siderweb, spiega con due estremi: «Se un' azienda italiana compra acciaio in Cina, dall' ordine alla consegna possono trascorrere anche due mesi, con i costi di trasporto che annullano il vantaggio competitivo del prezzo. Da Taranto o da Genova invece passa solo qualche giorno e, così, l' impianto pugliese diventa per le nostre imprese una sorta di magazzino pronto all' uso». E quel deposito potrebbe non esistere più in primavera quando, dicono gli analisti, il mercato siderurgico rialzerà la testa.