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 2019  novembre 13 Mercoledì calendario

Intervista a Valeria Bruni Tedeschi

In Aspromonte-La terra degli ultimi Valeria Bruni Tedeschi è la bionda maestra del Nord che arriva a dorso d’asino ad Africo per insegnare ai bimbi del paese. L’attrice ha accompagnato la presentazione romana del film di Mimmo Calopresti (in sala il 21 novembre), ed ora, cappotto intonato agli occhi cerulei, le valigie sparse nella suite, cerca di farsi anticipare il volo per Parigi per cenare con i figli Celine e Noè.È vero che sul set ha capito che avrebbe voluto fare la maestra?
«Da bambina insegnavo a mia sorella e alle venti bambole le mie poche conoscenze. Ho veri ricordi che sembrano stupidi per chi li ascolta, ma che per me sono reali. Sono riaffiorati quando mi sono trovata con un gesso in mano vicino alla lavagna, in una classe antica. Ho sentito che facevo una cosa già fatta. E che in fondo faccio ancora quando giro i miei film, l’atteggiamento severo e dolce che avrei con i bimbi sul set ce l’ho con attori e troupe».
Sua sorella Carla stava al gioco?
«Ha imparato a leggere e scrivere a tre anni, le tabelline a quattro. Ero severa e intensa con lei. Alzava il dito quando sapeva le cose e io, con un po’ di sadismo, interrogavo invece Cespuglioni, la mia bambola con i capelli rossi. Era una piccola ingiustizia, ma perché volevo far studiare Carla al meglio. Il nostro rapporto è iniziato così e continua anche un po’ adesso...».
I ruoli si sono mai invertiti?
«Sì, spesso. Anche mia madre sui miei set diventa figlia. Pirandello ci insegna che cambiamo la personalità rispetto a chi abbiamo davanti».Lei era appassionata di bambole_?«Mi piacevano, ma per me non c’erano differenze tra la Cespuglioni e Renato Kumper, altro personaggio immaginario, ermafrodita, con cui dialogavo. Mio figlio gioca al Lego, inventa intere città e veicoli, a volte anche gli incubi sono di Lego: tutto fa parte del suo mondo, come la madre, la sorella, gli amici. La frontiera tra realtà e immaginario è felicemente tenue per i bambini e gli artisti».Una madre è anche una maestra?«In entrambe le figure c’è qualcosa di dolce e autoritario. Diciamo che sono una maestra maldestra, ma punto più sui valori che sulle nozioni».Che rapporto ha con cellulari e tablet?«Sono spaventata dagli schermi. Non mi batto abbastanza contro la stupidità, la violenza e la volgarità di certe immagini. Sono strumenti deleteri per l’immaginario, la voglia di leggere, l’importanza della noia e del vuoto. A scuola di mia figlia, per evitare la cartella pesante, le hanno dato un tablet al posto dei libri. Mi è venuto da piangere».Com’era lei a scuola?«Brava. Non copiavo ma facevo copiare. La mia sofferenza di studente è stata che non sapevo mentire: arrossivo sempre, non avevo possibilità di schermarmi. Oggi invece trovo bello un ragazzo o un uomo che arrossisce».Ha avuto maestri da attimo fuggente?«La professoressa Ruta di italiano era il mio idolo, al liceo il professore Gentili. Alcuni docenti sono decisivi.Mia figlia fa danza e mi piacerebbe che incontrasse un maestro in grado di guidarla. Ne basta uno per cambiarci la vita».Calopresti ha cambiato la sua?«Un incontro decisivo. Ricordo il giorno in cui ho visto lui e Moretti perLa seconda volta, un film che mi ha fatto riappropriare della mia lingua.Durante la lavorazione di L a parola amore esiste ho iniziato a scrivere e Mimmo mi ha incoraggiato, come certi padri o amici quando ti fanno capire che ce la puoi fare.Aspromonte è un film importante, ora Mimmo ne progetta uno con me e Cate Blanchett».Le piace girare in Italia?«Sì. Ho appena finito Gli indifferenti di Moravia di Seragnoli, mi ha convinto con la sua potenza e la sua calma, ancora prima che con la sceneggiatura. Interpreto la madre della storia. Ho bisogno di proposte potenti, altrimenti preferisco dedicarmi a scrivere il mio prossimo film. È faticoso, ma anche appagante. Ho sempre voluto raccontare in modo onesto l’esistenza con i miei film. E vorrei far ridere: delle cose vere, della nostra vita, che è buffa».A proposito di maestri, ce ne sono anche alcuni che le ali le tarpano.«Ne ho avuti tanti. L’insegnante di teatro che diceva “sarai forse un artigiano ma mai un’artista”, l’agente che a 19 anni mi disse “sì forse puoi farlo il mestiere, ma non ridere mai perché quando ridi sei bruttissima”.Non dimentico nessuno, ma trovo più prezioso ricordare gli sguardi di Patrice Chéreau, di Mimmo, di Noémie Lvovsky, di François Ozon, di mio padre, che mi hanno fatto sentire di avere le ali. Tutti le abbiamo, ma loro mi hanno aiutato a spiegarle».