Corriere della Sera, 13 novembre 2019
Biografia di Luca Gotti (mister suo malgrado)
Nell’epoca dell’esserci a tutti a costi, c’è un signore che vorrebbe scomparire e non ci riesce: si chiama Luca Gotti, è veneto di Adria, ha 52 anni, è un ex calciatore dilettante e da due partite fa l’allenatore dell’Udinese. «Temporaneamente», nella sua testa. «Definitivamente», in quella della famiglia Pozzo. Che lo considera il cosiddetto traghettatore ideale fino a fine stagione dopo l’esonero, avvenuto il 1° novembre, di Igor Tudor, del quale Gotti era il vice. La sua competenza sommata all’equilibrio e alla conoscenza dello spogliatoio e dell’ambiente ne farebbero la figura perfetta per raddrizzare la barca, come confermano il 3-1 all’esordio col Genoa in trasferta e, un po’ meno, lo 0-0 in casa con la Spal. Peccato che Gotti non sia troppo d’accordo.
«Non è la voglia che manca, anzi, fare il capo allenatore sarebbe un piacere, ma non reputo che sia la direzione giusta – ha spiegato domenica il mister-suo-malgrado —. Non intendo andare via, spero solo di rimanere dentro lo stesso spogliatoio con il ruolo che mi compete e mi gratifica». Simili parole aveva usato dopo l’esaltante esordio di Marassi: «Io tecnico titolare? Non succederà». Beh, pensate che siano servite? «L’Udinese è una società molto ambita, si sono proposti tanti allenatori (Ballardini e Zenga, per dirne un paio, mentre il progetto per la stagione prossima pare preveda Giampaolo, ndr) ma noi siamo curiosi di vedere evolversi questa empatia fra Gotti e il gruppo», ha spiegato Pierpaolo Marino, responsabile dell’area tecnica.
A Gotti non piacciono la pressione e la sovraesposizione connesse al ruolo di capo. Una sindrome nota. Il fatto è che nello sport non sono infrequenti queste figure di tecnici preparatissimi che tuttavia preferiscono lavorare di supporto tra le quinte. Il caso più emblematico fu quello di Mauro Tassotti, per 15 anni vice allenatore al Milan, e dal 2016 assistente del c.t. dell’Ucraina Andriy Shevchenko.
Non è la voglia che manca, anzi fare il capo allenatore sarebbe un piacere, ma non reputo che sia
la direzione giusta
Anche Gotti sembra uno orgogliosamente «nato vice», una posizione ricoperta dal 2010, prima con Donadoni a Cagliari, Parma e Bologna, poi la stagione scorsa con Sarri al Chelsea e quest’anno con Tudor. Una scelta nata anche a causa di un’esperienza che, per sua stessa ammissione, lo ha segnato profondamente. «Il vero spartiacque è stato alla Triestina in serie B». Ricevuta la panchina il 25 giugno 2009, ci è stato per 8 gare fino al 6 ottobre quando, con la squadra in zona retrocessione, venne esonerato. «Un momento duro, e il cattivo pensiero di dire “basta” mi è passato per la testa. Poi ho trovato la forza di ripartire».
La cacciata di Tudor gli ha però scombinato i piani: da ricercatore al servizio del professore ora gli tocca salire in cattedra, esponendosi in prima persona. Suo malgrado, dunque, guiderà l’Udinese anche contro la Sampdoria il 24 novembre, alla ripresa del campionato. Chissà che col tempo, imparando l’arte della responsabilità e dell’apparire, il vice non decida di farsi capo. Ma non sarà un obbligo. In fondo, il ruolo migliore (per sé e per la squadra) è sempre quello che ci si sente addosso.