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 2019  novembre 13 Mercoledì calendario

Biografia di Roberto Morassut

Un fantasma si aggira fra i sette colli, quello dei palazzinari. Sognano di riconquistare il Campidoglio attraverso Roberto Morassut, l’uomo che li rese felici nel 2008 con il famoso piano regolatore che ha regolato solo gli interessi del mattone e in forza del quale, secondo le regole frattali della politica italiana, l’artefice è diventato sottosegretario all’Ambiente. Infilando in ogni frase l’aggettivo “democratico”, Morassut si segnala come ultimo epigono del funzionariato comunista romano forgiato da Goffredo Bettini. Il partito del mattone lo considera spendibile per il dopo-Raggi e la sindaca dovrebbe preoccuparsi: dopo lo choc dell’amministrazione grillina, i romani sono considerati disponibili a votare l’eterno ritorno di coloro contro i quali votarono in massa per la stessa Raggi.
Se gli elettori hanno la memoria corta, lo scarso senso dell’umorismo di Morassut provvede a rinfrescargliela. Nel ponderoso contributo democratico di lancio della sua candidatura, ospitato dal Foglio dell’immobiliarista Valter Mainetti, ha lodato gli alacri concittadini “che ogni mattina si alzano ben presto e vanno a lavorare, mettendosi in viaggio sulle consolari”. Chi non vive a Roma non può apprezzare a pieno l’autogol dell’ex assessore all’Urbanistica. I romani sulle consolari non si mettono in viaggio ma in coda, invocando diuturnamente “li mortacci de tutti l’assessori” perché vivono nei quartieri periferici benedetti dal piano regolatore di Morassut (Tor di Nona, Bufalotta eccetera) ma ai quali i sindaci Francesco Rutelli e Walter Veltroni (altre due invenzioni di Bettini) si dimenticarono di assicurare trasporti pubblici decenti.
Morassut si sente un grande futuro alle spalle. Il suo rimedio al fallimento di Raggi è “non più un centrosinistra, espressione geometrica lineare priva di vero significato, ma un soggetto tridimensionale o circolare, un riformismo civico che metta insieme il basso e l’alto”. Non avete capito? Riproviamo. Egli propugna “uno schieramento elettorale molto aperto e simbolicamente nuovo in cui le attuali rappresentanze migliori e di buona volontà dei soggetti costituiti sappiano mescolarsi e aprirsi per dar vita a un nuovo, articolato schieramento civico e riformista”. Adesso è più chiaro: “l’alto”, i “soggetti costituiti” sono i costruttori: “Dobbiamo abolire la parola palazzinari. (…) Gli eredi delle vecchie famiglie cercano nuove strade, innovative e sostenibili, ma le istituzioni non appaiono in grado di garantire che le vecchie ricette”. Sbagliano dunque i maligni a credere che essi cerchino solo nuove strade per uscire da Regina Coeli. Al contrario, predica Morassut, sono migliori dei politici. E infatti il Messaggero del costruttore Franco Caltagirone si precipita a intervistarlo: “Sindaca lontana dalla realtà” (26 ottobre), “Io in corsa? Prima i temi” (6 novembre).
Non si sa per quale maledizione biblica a Roma la politica finisca sempre per sottomettersi ai costruttori. La scuola Bettini si è impadronita di questo cinico realismo quando i costruttori erano tutti andreottiani. A fine anni 80 Morassut arriva dalla sezione Alberone all’ufficio stampa della federazione romana del Pci. Il suo vice è Maurizio Venafro, poi capo della segreteria di Rutelli sindaco e infine capo di gabinetto di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio dove viene disarcionato da un’inchiesta per turbativa d’asta per finire alla Link University di Enzo Scotti. Assolto in primo grado, è stato condannato in appello a un anno per aver favorito Salvatore Buzzi nella gara per il centro unico di prenotazione sanitario.
In quel Pci di fine anni 80 il tesoriere è Mario Schina. Anche lui primeggia in Mafia Capitale come braccio destro di Luca Odevaine, in passato stretto collaboratore di Zingaretti alla provincia di Roma e di Veltroni in Campidoglio. Schina è a libro paga di Buzzi e per questo sconta in carcere una condanna definitiva a 4 anni per corruzione. Nel Pci romano dove cresce Morassut c’è anche Michele Civita, poi assessore regionale con Zingaretti, oggi a processo per lo stadio della Roma con il costruttore Luca Parnasi.
Morassut è l’uomo che sussurra ai mattoni. Rutelli lo piazza nel comitato per le Olimpiadi di Roma 2004 e lui subito appoggia il villaggio olimpico a Tor Vergata, zona cara a Caltagirone. Nel ‘97 diventa segretario del Pds romano, ma nel 2000 viene eliminato da un’imboscata dalemiana e va al suo posto il bettiniano ma non troppo veltroniano Zingaretti. Morassut viene ricompensato con l’assessorato all’Urbanistica nella giunta Veltroni (2001-2008), dove battezza per le Olimpiadi di Roma 2016 certi terreni tra la Magliana e Muratella, anch’essi cari a Caltagirone.
Ci sono i politici che guardano le donne e quelli che guardano le aree fabbricabili. Morassut dirige l’orchestra del piano regolatore, la cui parte marcia fu subito denunciata da suoi compagni di indiscusso prestigio come l’ex vicesindaco Walter Tocci e il grande urbanista Vezio De Lucia, e raccontata al grande pubblico da Paolo Mondani in una puntata di Report del maggio 2008 resa memorabile dal genio dell’ex assessore: querelò facendo l’offeso, provocando una sentenza che non solo assolve il giornalista ma quasi lo critica per averla toccata troppo piano.
La corsa di Morassut verso il Campidoglio è la rivincita dell’album di famiglia. Il selfie perfetto del bettinismo-rutellismo-veltronismo è scattato alla festa del 60esimo compleanno di Bettini, sette anni fa. Siedono a tavola festosi, nei posti d’onore, Caltagirone, Veltroni, Rutelli e Gianni Letta, con Andrea Mondello (Birra Peroni). Il costruttore Claudio Toti (Lamaro) siede accanto a Zingaretti e di fronte a Marco Follini, e poi Giovanna Melandri e l’ex presidente della provincia Enrico Gasbarra – che ha lasciato in eredità all’obbediente Zingaretti il brutto affare del nuovo palazzo della Provincia, pagato a Parnasi come se fosse oro facendo imbestialire Caltagirone. Una catena di affetti che Morassut vuole riproporci tutta intera.