ItaliaOggi, 12 novembre 2019
La comunicazione via web non è più di massa e unidirezionale come quella televisiva ma personalizza il suo messaggio
Negli ultimi giorni si sta sempre più parlando di microtargeting e del ruolo decisivo che esso avrebbe nel decidere gli esiti delle elezioni. Il caso, manco a dirlo, è stato sollevato in America dove il campaign manager di Trump, Brad Parscale, sarebbe colpevole di bombardare di messaggi miratissimi alcuni target di elettori. Mentre, in passato Hillary, e ora gli altri democratici non ne sarebbero in grado. Cosa che, vista la natura delle campagne elettorali americane, sembra molto improbabile.In ogni caso, chi colpevolizza il microtargeting ignora apertamente le dinamiche che regolano i social network. Il cui sistema comunicativo non è più di massa e unidirezionale come quello televisivo, ma che, al contrario, si fonda sull’uso di dati, in particolare di like a pagine e a post, per scoprire i gusti e gli interessi degli utenti, garantendo così una maggiore personalizzazione del messaggio. Quella che viene definita con un certo disprezzo profilazione degli utenti, in realtà, è uno dei meccanismi principali su cui si fondano Facebook, Twitter e Instagram. La forza di questi nuovi media consiste proprio nella conoscenza più dettagliata degli interessi dei loro user che permette a brand e a politici di costruire messaggi e promozioni a loro misura. Del resto, basta scorrere il proprio newsfeed per capire di cosa stiamo parlando: tendenzialmente riceviamo pubblicità riguardanti le nostre passioni o gli oggetti che vorremo acquistare. I post sponsorizzati sui social vengono infatti costruiti geolocalizzando gli utenti in primis e poi inserendo i loro gusti e i lori interessi. Questa nuova frontiera di marketing, massicciamente usata da ogni tipo di brand o azienda, si serve quindi del microtargeting per colpire uno specifico segmento di consumatori. Non cerca più di colpire nella massa, come avveniva sui vecchi media e nella pubblicità tradizionale, ma si impegna per intercettare un preciso bacino di consumatori.
Non si vede dunque per quale ragione tale possibilità debba essere vietata ai politici, soprattutto durante le fasi più accese di campagna elettorale. In effetti, può essere utilizzata per far conoscere specifiche parti di un programma elettorale o per trattare un tema che sta a cuore a una fetta di elettorato. Per la politica americana vale, ad esempio, per le istanze della comunità Lgbtq, per il trattamento riservato ai veterani o per i tanti gun owners. Insomma, quella del microtargeting, più che un rischio per la democrazia, è una possibilità importante che può aiutare a far conoscere meglio idee e posizionamenti.
Non è affatto un meccanismo da demonizzare. Anche perché, con questa logica, bisognerebbe mettere in discussione nella sua interezza il modello di business dei social network. Il sospetto che si ha leggendo certe uscite è che l’uso raffinato dei social media da parte dei partiti cosiddetti populisti stia infastidendo i progressisti che non riescono a utilizzarli con così tanta efficacia. Da qui gli attacchi scomposti a internet (una «fogna» secondo il deputato renziano Marattin) e al microtargeting.