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 2019  novembre 12 Martedì calendario

Banda ultralarga in un Comune su mille

La Commissione europea e le Regioni lanciano l’allarme sul grande progetto Bul, la rete pubblica di tlc a banda ultralarga, oltre i 30 gigabit al secondo in download, destinata a coprire le aree a fallimento di mercato (le cosiddette aree bianche), che nel 2015 il Governo Renzi decise di finanziare con risorse nazionali del Fondo sviluppo e coesione e con fondi europei per lo sviluppo regionale (Fesr) e per lo sviluppo rurale (Feasr). Una rete che rimarrà pubblica, ma in concessione ventennale. Ad aggidicarsi i bandi, nel 2017, fu Open Fiber, controllata alla pari da Enel e Cdp.
Per avere contezza dei timori, la strada più immediata sono i numeri, pubblicati da Infratel (la Spa a cui il ministero dello Sviluppo, che la controlla attraverso Invitalia, ha affidato la missione di realizzare il progetto) e sono aggiornati al 4 novembre. Spulciando i fogli excel si legge quindi che solo in cinque comuni i lavori sono «terminati», cioè la rete è collaudata e operativa. In tutto i comuni interessati sono circa 7.450, compresi in due dei tre progetti Bul, escludendo l’ultimo che riguarda Calabria, Puglia e Sardegna assegnato a metà del 2018 e ancora non entrato nel vivo ma rlativo ad un numero esiguo di comuni.
Dei 7.450 in realtà i piccoli centri da considerare 5.554, visto che in fase di progettazione definitiva si è scoperto che quasi 1.200 non erano considerabili aree bianche. Il risultato finale non cambia: i comuni in cui il servizio è collaudato si contano sulle dita di una mano: Attigliano, Castel Giorgio e Penna in Teverina in provincia di Terni; Ampezzo in provincia di Udine; Vertova nella Bergamasca
In altri 310 i lavori sono stati ultimati, ma manca il collaudo e dunque la spesa non può essere certificata alle autorità europee. Stando sempre ai numeri Infratel, i lavori sono in corso solo in 1.614 comuni; per 220 si attende l’approvazione del progetto esecutivo; in 474 il concessionario (Open Fiber) ha avviato la richiesta di autorizzazione e si attende la decisione. Tutti gli altri sono ancora più indietro in questo defatigante percorso a ostacoli ei dui quello più semplice a conti fatti sembra la posa dei cavi.
Progetto con fortissime fragilità
«Sul progetto Bul ci sono fortissime fragilità» ha detto Nicola De Michelis, direttore generale della Dg Regio alla Commissione europea, alle autorità di gestione delle Regioni e ai vertici del Dipartimento della presidenza del Consiglio per le politiche di coesione, a Trieste venerdì scorso per la riunione annuale sui fondi europei. «È necessario un incontro in tempi rapidissimi per discutere di questa operazione» ha aggiunto preannunciando una convocazione. «Stiamo marcando stretto Infratel – ha assicurato Antonio Caponetto, dg dell’Agenzia per la coesione – perché spenda le risorse prelevate dai programmi regionali».
Perché le Regioni, con il sostegno dell’Agenzia per la Coesione, sono preoccupate?
Rischio disimpegno automatico
È una questione di tempi: entro fine anno devono certificare a Bruxelles determinati livelli di spesa dei rispettivi Programmi operativi 2014-2020 per non incorrere nel disimpegno automatico, cioè la perdita dei fondi comunitari. Ogni autorità ha fatto i suoi conti e nella spesa ha considerato anche la quota annuale destinata alla Bul, che però è ormai fuori dal controllo delle Regioni. In breve, se non si procede con i lavori e dunque con la spesa (cosa che chiama in causa su differenti livelli Open Fiber e Infratel), le Regioni non possono rendicontare alla Commissione e perdono i soldi.
Non tutte le Regioni, però, sono senza responsabilità. A ciò, infatti, bisogna aggiungere almeno altre due complicazioni. La prima è che alcune probabilmente hanno sovrastimato le necessità di finanziamento della Bul, destinando troppe risorse (forse nella speranza di accelerare la spesa dei fondi Ue). La seconda, che aggrava le conseguenze della prima, è quella già citata degli oltre mille comuni che non rientano più nelle aree bianche perché si è scoperto che una rete esisteva già ma non era censita.
La parola a Infratel e OpenFiber
«Quello che posso garantire, numeri e fatti alla mano è che c’è un’accelerazione», è il commento di Stefano Paggi, direttore Network & Operations di Open Fiber. «Abbiamo forse avuto ritardi iniziali, dovuti a una serie di fattori fra cui ricordo i ricorsi dei competitor». Quello su cui Paggi invita però a fare attenzione è proprio il giudizio sui numeri, in un progetto «monumentale per l’Italia» da 1,4 miliardi di euro su 2,4 miliardi di valore della rete Infratel e all’interno di un progetto complessivo di Open Fiber da 6,5 miliardi di cui 3,5 coperti da project finance (comprese le aree più remunerative A e B) e più di un miliardo dalle regioni coni programmi europei. «Considerare il dato dei collaudi – replica – è in qualche modo fuorviante. Non a caso abbiamo raggiunto un accordo con Infratel per poter commercializzare Comuni anche in cui non si stato completato il collaudo perché magari mancano opere di ripristino non facili in periodo invernale. A oggi stiamo commercializzandoil servizio in oltre 100 comuni, che porteremo a 400 entro fine anno. Comunque, ripeto, rispetto a soli 3 mesi fa i numeri sono in grande accelerazione».
Anche in Infratel si pone l’accento «sui ricorsi degli altri operatori». E c’è la cosnapevolezza che «i lavori dovrebbero essere completati entro il 2020 ma è difficile pensare che questo avvenga». Perché si è arrivati a questo punto? «Ci sono tanti aspetti da considerare. Dipende in parte dalla particolarità di questo appalto: si tratta di una rete costruita per un altro proprietario, che è lo Stato. E che deve avere tutto il quadro della rete, chiedendo quindi prescrizioni molto stringenti. Ci sono poi le difficoltà oggettive in fase di predisposizione dei permessi. Però c’è da tenere presente anche un altro aspetto, progettuale. Un comune è collaudabile solo se c’è un punto di consegna neutro, dove andranno gli operatori per attaccarsi alla rete e dare servizi. È previsto un numero di Pcn, ma il fatto che Open Fiber sfrutti le infrastrutture elettriche ha portato a prevederne molto meno. Questo ha impattato negativamente vincolando la possibilità di collaudo anche alla realizzazione, appunto, dei Pcn».
Fatto sta che i nodi stanno venendo al pettine e insieme alla complessità del progetto, ora si discute anche di una governance forse inutilmente troppo complicata.