la Repubblica, 12 novembre 2019
Salviamo la Gioconda
Quando andai a Mosca per la prima volta, la cosa che m’interessava di più era visitare il mausoleo di Lenin nella Piazza Rossa. Pensavo fosse complicato, che avrei trovato la fila e avrei dovuto aspettare parecchio. In realtà non c’era nessuno. A parte un po’ di controlli di sicurezza, la visita si rivelò indolore e velocissima. Mi sorprese la rapidità con cui fui obbligato a procedere nella sala dove il corpo imbalsamato di Lenin era esposto e la distanza che c’era dalla salma. Militari armati di mitra indicavano minacciosamente di non fermarsi neanche un attimo. La visita non doveva assecondare la curiosità morbosa. Mi è tornato in mente il corpo di Lenin pensando alla Gioconda e ai problemi sempre più seri che il Louvre sta affrontando a causa dell’eccessivo successo del quadro: 30 mila visitatori al giorno.
Può un’opera d’arte diventare un cadavere? Direi proprio di sì. C’è una soglia oltre la quale il successo si trasforma in morte. Che la Monna Lisa passi di moda, come è accaduto a Lenin, forse è difficile. Sicuramente, se continuerà a crescere la difficoltà di vederla e di goderne, con la conseguente frustrazione dello spettatore, è possibile che, prima o poi, la gente perda il desiderio di affrontare l’odissea necessaria per trovarsi davanti all’opera d’arte più famosa del mondo. Ma anche il museo stesso rischia di diventare vittima del successo del suo capolavoro. Il Louvre è chiaramente Gioconda dipendente. Se per qualche imprevisto gli dovesse venire a mancare, il museo entrerebbe in crisi di astinenza e le sue finanze collasserebbero. Sarebbe un disastro. Questo pone grossi interrogativi sulla salute culturale del museo stesso, che, di fatto, ha permesso la marginalizzazione del resto della sua collezione, consentendo che la Monna Lisa diventasse un mostro come Alien, cresciuto dentro il proprio stesso organismo. Non credo che il processo sia irreversibile, anche se le contromosse da prendere rischierebbero di essere dolorose da un punto di vista economico e anche impopolari. Quali potrebbero essere? Non certo chiamare in causa l’esercito come al mausoleo di Lenin. Sicuramente drastico sarebbe proibire foto e selfie. Soluzione, questa, che, in un primo momento, potrebbe provocare una sommossa da parte di molti visitatori. Ma, con il tempo, questa draconiana misura si trasformerebbe in una cura di disintossicazione, aiutando lo spettatore a riscoprire il gusto e l’immenso piacere di guardare solo con i propri occhi un’opera d’arte. Nel museo di Berlino dove è esposta la famosa testa egiziana di Nefertiti, le foto sono proibite e l’atmosfera è serena, la visita intensa e profonda.
Un altro sistema per diradare la folla è quello di legare la visita della Gioconda a un orario preciso come accade con l’ Ultima cena a Milano. E di imporre, magari, un prezzo del biglietto più punitivo. L’arte dovrebbe essere certo alla portata di tutti, ma quando “tutti” diventano “troppi” bisogna pure correre ai ripari. C’è chi propone di costruire un padiglione dedicato solo alla Gioconda, in modo da gestire le folle autonomamente dal resto del museo. Ma questo potrebbe mostrare troppo radicalmente quanto poco interesse ci sia ormai per un’arte che non abbia lo status di una rockstar. Il Louvre si ritroverebbe svuotato dell’80 per cento dei visitatori. In ogni caso, qualcosa toccherà inventarsi. Sicuramente per offrire a tutti un’esperienza migliore, ma anche per dare respiro al dipinto stesso, diventato un fenomeno da circo. Un tempo ci fu chi propose di costruire una finta Venezia a Porto Marghera dove spedire branchi di turisti meno sofisticati. Un’idea molto divertente che potrebbe essere applicata anche alla Monna Lisa, ma anche culturalmente razzista. Chi siamo noi per stabilire chi merita un’esperienza autentica e chi un’esperienza tarocca? Si potrebbe fare come sui menù dei ristoranti che mettono l’asterisco accanto ai cibi surgelati. Lo spettatore sarebbe costretto a scegliere se pagare il prezzo del biglietto e mettersi in fila per quella vera o spendere meno e andare a guardare più rapidamente una copia.
Ma il fascino del dipinto sta nella sua originalità, non nel suo abbastanza insipido soggetto. Anche se qualche storico dell’arte buontempone ha suggerito che quella al Louvre sia già una copia e che l’originale sarebbe scomparso per sempre nel 1911, quando fu rubato. Tesi molto improbabile che non vogliamo resuscitare in questo momento.
L’arte non è adatta allo star system o al culto di massa. Se obbligare Jovanotti a tenere un concerto in un teatrino per musica da camera sarebbe un controsenso, ha altrettanto poco senso obbligare un dipinto di pochi centimetri quadrati ad essere mostrato davanti a una folla da stadio tutti i giorni. La Monna Lisa è protetta da qualsiasi pericolo fisico, ma questo non è sufficiente. Va protetta anche la dignità di un capolavoro. Se ci siamo abituati alla cannibalizzazione, anche giusta, che il merchandising fa delle immagini di alcune opere famose, non dovremmo assuefarci al fatto di veder trasformare i capolavori dell’arte in mummie vittime di un’attenzione morbosa. Sarebbe come pretendere che Jovanotti acconsentisse dopo ogni concerto ad essere baciato da 30 mila persone, una dopo l’altra, anche solo per una frazione di secondo. Sarebbe umiliante oltre che poco igienico e pericoloso. Il successo, a differenza del potere, logora chiaramente proprio chi ce l’ha e come il Louvre non riesce e non può farne più a meno.