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 2019  novembre 12 Martedì calendario

La vita segreta degli incursori

«Stai zitto». La regola numero uno è la discrezione: meno persone sanno quel che fai, meglio è per tutti. Non parlarne nemmeno in famiglia. Niente foto in pubblico, guai a dare il numero del tuo cellulare. Facebook, instagram? Per carità. Gli uomini dei reparti speciali non devono avere un volto, neppure una storia personale. Se ce l’hanno, è importante appaia più “normale” di quella di un impiegato del catasto. Fantasmi, camaleonti. Comsubin sta per Comando Subacquei e Incursori: si addestrano e vivono a Porto Venere, La Spezia: nella baia del Varignano, di fronte al Golfo dei Poeti dove si tuffava Shelley. Molti hanno messo su famiglia alle Grazie, accanto al Comando “Teseo Tesei”.
La storia va avanti da un secolo, è cominciata con la prima scuola di palombari del 1910. E nel suggestivo borgo marinaro, un migliaio di abitanti, 4 famiglie su 5 hanno almeno un parente militare. Se chiedete notizie dei 3 incursori feriti nell’attentato iracheno, faranno finta di niente. Perché sanno poco o nulla. Davvero. Il trentenne Andrea Quarto, ferito più gravemente a un piede, è l’ultimo arrivato dopo l’Accademia di Livorno: era già stato in Iraq. Ha un alloggio di servizio in caserma, ma – visto che l’ultima missione durava 4 mesi – la moglie è tornata in Campania col piccolo. Michele Tedesco ed Emanuele Valenza abitano nello Spezzino: il primo è torinese, il secondo di Milano. In passato sono stati in Afghanistan. Di solito quando rientrano dagli incarichi, passano altri 4-5 mesi ad addestrarsi. Escono solo nel tardo pomeriggio di venerdì. Dopo il Comando c’è un pub, O Goto, e poi il bar Povea cà. «Ma non parlano mai di quel che fanno. Non siamo sicuri di sapere chi siano. Anche perché qui nessuno ha voglia di fare domande».
A Porto Venere, tra Gruppo Operativo Incursori e Gruppo Operativo Subacquei, i militari sono circa 400. Solo per entrare nella scuola del Comsubin, hanno superato una selezione comune a tutti i reparti speciali: 4 settimane di preparazione fisica e test che prevedono durissime prove tra corsa e nuoto, piegamenti e marce; 2 settimane di selezioni psico- attitudinali, le più difficili. «Non cerchiamo Rambo, ma persone equilibrate», spiega uno degli istruttori spezzini. Poi 3 mesi tra paracadutismo e operazioni speciali, quindi la fase di specializzazione (55 settimane) con corsi di combattimento e di sopravvivenza in qualsiasi ambiente, l’uso di esplosivo e delle radio, la capacità di resistere agli interrogatori. Negli ultimi anni, su 40 candidati i promossi si contavano sulle dita di una mano. Lo stesso succede negli altri 3 reparti speciali militari: il 9º Reggimento Paracadutisti d’Assalto Col Moschin (Esercito), di cui fanno parte gli altri due feriti dell’attentato iracheno; il 17º Stormo incursori (Aeronautica) e il Gruppo Intervento Speciale dei carabinieri. Quattro corpi integrati dal 4º Reggimento Alpini Paracadutisti e 185º Reggimento Ricognizione e Acquisizione Obiettivi Folgore. Quattromila uomini, persone “normali” lontano dalle missioni. Che parlano poco.