Libero, 11 novembre 2019
Iraq, 300 vittime da ottobre
Il 12 maggio del 2018 in Iraq si sono tenute le quinte elezioni politiche dalla fine del regime di Saddam Hussein, e le prime dopo la sconfitta militare dell’Isis. Ben 36 partiti e 2 indipendenti si sono spartiti i 329 seggi, grazie a una legge elettorale ultra-proporzionale che permetteva di avere deputati anche con lo 0,04% dei voti. Ai primi posti sono arrivate una alleanza tra comunisti, sunniti laici e il movimento del religioso sciita Muqtada al-Sadr con 54 deputati, l’Alleanza della Conquista delle milizie sciite che avevano combattuto contro l’Isis con 48, la centrista Alleanza della Vittoria dell’ex-primo ministro Haider al-Abadi con 42, il Partito Democratico del Kurdistan e la Coalizione Stato di Diritto dell’altro ex-primo ministro Nouri al-Maliki con 25 a testa, la centrista Coalizione Nazionale con 21, un Movimento Nazionale per la Saggezza sciita con 19 e l’Unione Patriottica del Kurdistan con 18. Dopo 5 mesi di stallo, presidente è diventato il curdo Barham Salih, ex-primo ministro della regione curda. Primo ministro è il 78enne Adil Abdul-Mahdi: uno sciita che da giovane era stato comunista, e che è considerato vicino all’Iran e non troppo amichevole verso gli Usa. Tant’è che il suo governo non ha dato il permesso di restare in Iraq ai soldati Usa evacuati dal Rojava siriano dopo l’attacco turco. Presidente del Parlamento è il 37enne sunnita Muhammad al-Halbusi. Dal primo ottobre, però, contro questo governo è iniziata una sommossa popolare sempre più violenta, che protesta contro caro vita, disoccupazione e corruzione, e vede la maggioranza sciita del Paese in pratica contestare un potere vicino a Teheran. Tanto e vero che milizie sciite hanno sparato sui dimostranti, contribuendo a un bilancio che ha ormai oltrepassato le 300 vittime e i 15.000 feriti. La scintilla che ha scatenato le sollevazioni è stata la decisione di Abdul-Mahdi di rimuovere Abdul-Wahab al-Saadi dal comando delle Forze antiterrorismo, dove era diventato popolarissimo per i suoi risultati contro l’Isis. Una mossa su pressione dell’Iran, che lo aveva in antipatia. Ma i dimostranti ormai se la prendono con tutto l’establishment, e hanno dato fuoco alle sedi di vari partiti, e anche a un consolato iraniano. Con una delle sue giravolte, dopo essere stato l’uomo di Teheran e l’amico dei comunisti adesso Mogtada a-Sadr sta cercando di mettere il suo cappello sulla protesta. Gran parte dei 40 milioni di iracheni vive in povertà, e la disoccupazione oltrepassa il 35%. Dal 2003, anno delle deposizione di Saddam, per la corruzione dalle casse pubbliche irachene sono spariti circa 450 miliardi di dollari: quattro volte la manovra di bilancio, oltre il doppio del Pil.