il Giornale, 11 novembre 2019
Wikipedia ormai è vecchia?
«Mai così tanti dovettero così tanto a così pochi». Churchill lo diceva dei piloti della Raf impegnati a difendere il loro Paese durante la battaglia d’Inghilterra. Con tutte le avvertenze e le differenze del caso verrebbe da ripeterlo anche per i wikipediani che tengono in piedi l’enciclopedia della Rete. Solo in Italia le pagine sfogliate durante il mese di ottobre su quello che è il quinto sito più popolare della penisola, hanno superato quota 620 milioni, 20 milioni al giorno. Non c’è istante in cui un dubbio, una domanda, una curiosità non si traducano nella consultazione di una provvidenziale voce di Wikipedia.
L’altra faccia della medaglia sono gli editor, come si dice in inglese, gli «utenti», secondo l’espressione usata in italiano: i volontari che scrivono, contribuendo ad alimentare e aggiornare il corpaccione dell’enciclopedia. Secondo i dati dichiarati, quelli attivi, che effettuano almeno cinque interventi al mese, sono da noi non più di 2.300. Spetta a loro esibirsi su ogni ramo dello scibile umano, per fare manutenzione e possibilmente far crescere le voci, sono più di un milione e mezzo, dell’edizione italiana.
Dopo i picchi di una decina d’anni fa, quando avevano superato quota 3mila, il numero dei volontari tricolori è stagnante da tempo. E all’estero va anche peggio: fonti indipendenti parlano di un calo continuo in corso da anni. Un’analisi precisa è difficile perché il numero degli utenti attivi, quelli che si danno da fare, non figura, e forse vuol dire qualcosa, tra le molte statistiche diffuse da Wikipedia. «Siamo diventando un po’ una riserva indiana», scherza Maurizio Codogno, portavoce di Wikimedia, l’associazione, filiazione della fondazione americana, che cura l’infrastruttura tecnica dell’enciclopedia online.
IL SUCCESSO
Non è solo questione di cifre. O meglio, le cifre sono importanti, ma sembrano riflettere qualche cosa di più profondo: la crisi di un modello che rischia di rimanere vittima del proprio successo. In discussione è il principio stesso da cui tutto è partito. Wikipedia nasce nel 2001, e nasce per sbaglio. Il progetto di Jimmy Wales, il fondatore, è quello di mettere online un’enciclopedia gratuita, Nupedia, scritta da esperti, secondo un modello tradizionale. Ma questi ultimi non rispondono all’appello, i tempi si allungano. Wales nel frattempo ha raccolto una piccola comunità di appassionati all’idea illuministica della diffusione del sapere via web. «Cominciamo a scrivere noi», dice. E il successo arriva subito.
Di profitto non si parla, l’idea di fondo è quella della conoscenza cooperativa, dell’intelligenza collettiva che supera quella individuale. Le voci dell’enciclopedia vengono migliorate attraverso il dibattito e il confronto. Gli autori non appaiono: nascosti da un nickname, un soprannome, danno il loro oscuro ma importante contributo, accontentandosi della soddisfazione di partecipare a un progetto. È l’utopia della prima fase di Internet. Solo che poi la Rete prende un’altra strada: nel 2004 nasce Facebook, nel 2006 Twitter, nel 2010 Instagram. Dall’anonima e umile partecipazione all’intelligenza di gruppo, si passa all’esibizione dell’ego. Sulla Rete si fa di tutto per un «like», ha scritto qualcuno, mentre chi collabora a Wikipedia al massimo può beccarsi le critiche di chi mette in discussione questa o quella voce.
L’enciclopedia diventa un po’ alla volta parte delle abitudini quotidiane dei frequentatori del web, ma allo stesso tempo resta una comunità quasi del tutto maschile: la percentuale di autori donne va dal 10% stimata da fonti indipendenti al 15% dichiarato da Wikimedia. Il numero degli editor inizia a calare, qualche cosa di analogo si può dire delle voci: non aumentano più, molte vengono aggiornate di rado e con ritardo. È la dinamica normale di chi è cresciuto molto, spiega il portavoce Codogno: «Certo, il numero di utenti attivi si è ridotto rispetto al boom, ma è anche vero che Wikipedia non può crescere all’infinito: non può diventare una mappa grande come il territorio che riproduce, come raccontava Lewis Carroll un secolo prima di Borges. Detto altrimenti: gli utenti che aggiungono materiale sono di meno perché c’è meno da aggiungere».
Poi c’è il problema della tecnologia: «È vero, oggi sul web ognuno è l’agenzia pubblicitaria di se stesso, lo spirito dei tempi sembra lontano dall’approccio collaborativo dei primi anni 2000», spiega Frieda Brioschi, per 13 anni e fino al 2016 presidente di Wikimedia Italia. «Ma non è solo questo a tenere lontane le persone. L’interfaccia è ferma a 14/15 anni fa, le logiche di funzionamento pure. Un sistema di notifiche è stato introdotto con molti limiti e solo in tempi recenti».
Tutti temi importanti, ma oscurati dalla madre di tutte le accuse che pesano su Wikipedia: l’aver contribuito ad alimentare in maniera decisiva quell’ondata di incompetenza che sembra segnare l’era digitale. «Che mi importa della tua laurea, l’ho letto su Wikipedia e quindi ne so quanto te», è la sintesi che pare caratterizzare molti dibattiti. E a livello politico il clima ha finito per essere sintetizzato dal mantra grillino «uno vale uno». Da cui però Codogno sembra prendere le distanze: «Filosoficamente parlando, uno vale uno può significare che la decisione della maggioranza è la verità. Per noi non è così, al contrario: ci sono fonti affidabili e meno affidabili. Che vanno valutate e su cui ci sforziamo di raggiungere un consenso diffuso».
Per raggiungere l’obiettivo Wikipedia ha una struttura basata fondamentalmente su due livelli: gli editor o utenti che possono contribuire a scrivere o modificare una voce, e gli amministratori. Questi ultimi, in Italia un centinaio, sono eletti dalla comunità sulla base del loro impegno (voci create o modificate, partecipazione alle discussioni), e confermati ogni anno. Rispetto ai soldati semplici hanno qualche potere in più. Si occupano in prima persona della cosiddetta attività di «patrolling», la sorveglianza contro gli atti di vandalismo digitale (che peraltro può essere svolta anche dai semplici utenti) e possono «proteggere» le pagine: nei casi più controversi e in cui si registrano interventi considerati inaccettabili, hanno la facoltà di congelare la situazione impedendo ogni ulteriore intrusione ed eventualmente «bloccando» l’autore malintenzionato. Il dibattito e il confronto si svolgono su pagine o portali tematici, forum dove talvolta le discussioni assumono toni infuocati.
BATTAGLIE DIGITALI
Parallelamente alla struttura di Wikipedia, c’è quella di Wikimedia, l’associazione (ha circa 400 aderenti) che «promuove la produzione, la raccolta e la diffusione di contenuti liberi», ossia non protetti da vincoli all’utilizzo anche commerciale, e che sostiene anche tecnicamente l’enciclopedia.
L’associazione non è tecnicamente responsabile dei contenuti di Wikipedia. Ma le polemiche sono frequenti e di tutti i tipi. Ci sono i «buontemponi» digitali, come quelli che solo qualche settimana fa hanno modificato la voce su Omegna, scrivendo che la cittadina sul lago d’Orta era un «comune di stupratori» (in un paio d’ore la situazione è tornata normale). E poi ci sono casi più seri, quelli in cui correggere una voce equivale al tentativo di riscrivere la storia. A livello internazionale per esempio ha fatto rumore la recente denuncia del quotidiano israeliano Haaretz, secondo cui le pagine dedicate all’Olocausto venivano regolarmente modificate da autori vicini all’estrema destra polacca, nel tentativo di minimizzare la partecipazione di Varsavia al genocidio ebraico.
Wikipedia, come la realtà che si sforza di spiegare, è un mondo pieno di insidie. Ma forse non a sufficienza per giustificare quanto deciso in Russia. Mosca ha avviato da tempo un progetto per separare l’Internet russa da quello del resto del mondo. E nel piano, affidato alla cosiddetta Roskomnadzor, l’autorità per il controllo di Comunicazioni e Mass Media, c’è anche la creazione della prima enciclopedia digitale alternativa a Wikipedia: il portale, controllato dal governo e realizzato in collaborazione con la «Grande Enciclopedia Russa», costerà 30 milioni di dollari, sarà pronto nel 2022.